La vera vittima
eccellente di Weinstein

C’è una vittima eccellente del caso Weinstein. E questa vittima non è il celebre, intelligente, potentissimo produttore cinematografico di Hollywood. Né Asia Argento. Né la miriade di altre attrici, modelle e showgirl che negli ultimi giorni lo hanno accusato di stupro, violenze e molestie sessuali. Su tutto questo scandalo, questo circo, questo vaso di Pandora e su quanto il pluripremiato ai premi Oscar sia uno schifoso maiale sporcaccione ricattatore giudicherà la magistratura, sperando che si ricordi che la giustizia si deve basare sempre, ovunque e comunque sull’onere della prova. Il punto vero è un altro. Dopo aver sentito decine di testimonianze, visto raffiche di servizi televisivi, compulsato pagine e pagine di retroscena, confessioni, aneddoti, inediti, accuse e denunce, ci si rende conto che chi esce distrutto da questo nuovo obbrobrio che lega a filo doppio sesso e potere, maschi alfa e donne celebri o in cerca di celebrità, è proprio il concetto stesso di femminismo. Pensateci bene. È come se un secolo di lotte, dalle suffragette di Emmeline Pankhurst al politicamente corretto di oggi, passando attraverso le battaglie civili, in alcuni casi sacrosante, degli anni Sessanta e Settanta, non fosse servito a nulla. Cascame. Ciarpame. Avanzo da retrobottega. Scarto da rifilare in cantina in attesa delle pulizie di primavera. Osservate la descrizione offerta dai media delle donne vittime dell’orco Weinstein - e il discorso è applicabile a tutti i casi del passato. Che immagine ne danno? Che immagine propongono le stesse protagoniste, gli stessi pensosi commentatori, sociologi e analisti del costume? Sempre la solita. La donna indifesa. La donna bambina. La donna cucciolo. La donna Bambi alla mercè delle prepotenze del primo lestofante che passa per la strada. Piccole fiammiferaie. Epigoni di Mimì. Figurini da teatro d’opera. Damine inermi, incapaci di difendersi, di far valere i propri diritti, la propria volontà, la propria personalità. Perché di personalità sono prive e per esistere, per vivere su questa landa desolata, hanno sempre e comunque bisogno di un sostegno, di un tutore, di un papà, di un cavalier servente, di un principe azzurro, di un maschio dominante che le protegga dagli altri maschi dominanti. Donne da romanzetto da sciampista, da letteratura da stazione. Donne da niente. Bentornati nell’Ottocento.

Attenzione - il terreno è scivoloso -: qui non stiamo ragionando sui singoli episodi dello scandalo, del quale conosciamo solo accuse riportate di seconda e terza mano. E, soprattutto, non stiamo parlando delle violenze fisiche, degli stupri veri, quelli nei quali un uomo prende con la forza e contro la sua volontà una donna. E neppure di quando queste atrocità avvengono in luoghi degradati nei quali il possesso indebito si mischia alla fame, all’odio etnico, alla vendetta, al ricatto. No. Qui stiamo parlando di altro. Di quella zona grigia, infida, melmosa, purulenta che c’è, c’è sempre stata e sempre ci sarà.

Nel mondo del cinema, in quello della televisione, in quello della politica, in mille altri ambiti, compreso, naturalmente, quello dell’editoria, che tali e tante se ne potrebbero raccontare su certe carrierone nello sfavillante mondo dell’editoria. Che c’è di nuovo? Quante volte nella storia c’è stato un don Rodrigo che ha cercato di sedurre, di circuire, di plagiare un non potente, articolando il sillogismo “fai questo e io farò quest’altro” o “dammi questo e io ti darò quest’altro”? Quante volte è successo? E quante volte non c’è stato sopruso, ma perfetta identità di vedute? Quante volte maschi ignobili hanno fatto le peggio cose pur di conseguire i propri fini ignobili? Quante volte donne ignobili hanno fatto le peggio cose pur di conseguire i propri fini ignobili?

Non c’è nulla di peggio del moralismo nell’affrontare questi casi. Perché il moralismo, accompagnato dalla cultura del capro espiatorio - secondo la quale Weinstein, idolatrato fino a tre giorni fa, ora è un virus allotrio colpevole di ogni male del mondo - e da quella della chiamata di correo - secondo la quale tutti gli uomini sono tali e quali a lui - chiude gli occhi, spegne il cervello e tratteggia un mondo che non c’è. Una storiella con tanto di lupi cattivi e di Cappuccetti rossi che esiste solo nelle fiabe per bambini. Il mondo degli adulti è un’altra cosa. Ci sono fiumi di letteratura scritti da giganti del pensiero su quanto sia torbido l’universo del potere, su quanto sia diabolica la fascinazione della fama, del successo, della visibilità, su quanto serpentesca sia la brama di denaro e di sesso e abissale la profondità del peccato originale e come in quello stesso unico stagno nuotino i peggiori predatori. Dipingere tutti i maschi – tutti! - come dei porci mascalzoni e tutte le donne – tutte! - come delle eterne sopraffatte è una caricatura ridicola, irrealistica, manichea e antistorica.

Ed è una grande offesa per la grande maggioranza di loro. La donna può e deve godere di un rispetto e di una parità reale quando viene descritta come un essere senziente, autonomo, intelligente e in possesso di tutti i mezzi - anche legali, oltre che morali - per dire no a una proposta indecente. Costi quel che costi. C’è sempre qualcuno che cerca di comprarti, quando vuoi arrivare da qualche parte. C’è sempre qualcuno pronto a leccarti le scarpe o a saltarti dentro al letto quando sei arrivato. C’è sempre l’umanità, nella sua natura ignobile e incorreggibile, ad ogni angolo della strada e sta a te, a te persona, a te donna seria - ma anche uomo serio - conoscere come va il mondo e sapere quale prezzo salatissimo si debba pagare se non si vuole avere un prezzo. Ogni storia è una storia a sé. Ogni decisione è una decisione individuale. Ogni scelta è colpa tua, non di qualcun altro. Il vero sessismo non è guardare dentro il cuore di tenebra della vita, ma dipingere le donne come delle minus in cerca di un protettore. Le donne, quelle in gamba, se la cavano da sole.

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