L’affetto per Loubna
e una grave assenza

L’indifferenza va combattuta. Con poche parole Pia Pullici, una donna che ha dedicato la sua vita ad aiutare gli altri, sempre preceduta da un sorriso che fa subito amicizia, la spiega meglio di un intero trattato di sociologia. Per aiutare gli altri «bisogna combattere l’indifferenza» e, a volte, «può bastare anche solo un po’ di affetto». Due anni e due giorni fa, Como si risvegliò in un incubo fatto di fumo, fuoco, sirene, bambini in fin di vita portati a braccio giù per le scale di un condominio da vigili del fuoco in lacrime. Due anni e due giorni dopo, di quella tragedia che ha sconvolto la città si ricordano davvero in pochi.
Se ne ricordano le persone che, quel giorno, hanno cercato di battere la morte sul tempo, quelle che hanno conosciuto Siff, Soraya, Saphiria e Sophia, qualche anima più sensibile di altre, le amiche di mamma Loubna e nulla più.

Eppure, due anni e due giorni dopo, la tragedia è più attuale che mai. E ben lo sanno le poche persone che non hanno mai lasciato sola una madre travolta da una tragedia senza consolazione. «Non si riesce a capire, spesso, che le situazioni tragiche celano altre tragedie» racconta ancora Pia Pullici. Nelle pagine di Diogene raccontiamo, oggi, di come un gruppo di amiche, assieme ad alcune associazioni, abbiano fatto una cosa semplice ma importantissima: hanno realizzato le lapidi per i quattro bambini. Era il sogno, semplice e struggente, della madre. Che, un anno fa su queste colonne, non aveva chiesto elemosine o favori, ma aveva espresso il semplice desiderio di poter regalare le lapidi ai suoi figli, trovare un lavoro e una casa dove poter tornare a vivere.

Le lapidi. Un lavoro. Una casa. Se questi semplici desideri sono diventati realtà, lo si deve solo alla caparbia cocciutaggine di tre sue amiche e al mondo del volontariato. Il cuore e l’amicizia sono stati infinitamente più utili e forti e concreti delle istituzioni.

In questa storia esiste un grande assente. E quel grande assente è il Comune di Como. Non parlate dell’amministrazione cittadina, ad esempio, all’avvocato Anna Paola Manfredi, amica di Loubna, se non volete vederla andare su tutte le furie. Sia ben chiaro, qui non vogliamo mettere sulla graticola nessuno, né tantomeno fare processi sommari. Anche perché, ed è un fatto, il sindaco Mario Landriscina – forte anche della sua storia personale – dal punto di vista umano ha sempre cercato di essere vicino alla mamma dei quattro bimbi morti tragicamente.

Eppure nella storia personale di Loubna esiste un solco incolmabile tra ciò che la pubblica amministrazione potrebbe e dovrebbe fare e ciò che davvero fa. La casa, ad esempio: quella trovata dal Comune era - a detta delle amiche - invivibile per condizioni e per coinquilini. Grazie all’Aler e alla caparbietà delle donne che si sono strette attorno alla mamma, ora lei vive in un appartamento pulito, adeguato e in un contesto di vicinato decisamente più favorevole. Il lavoro, altro esempio: quello individuato dal Comune - sempre raccontato da chi è rimasto vicino a Loubna - era un’occupazione nell’asilo di Monte Olimpino frequentato dalle figlie. Grazie alle amiche è stata trovata un’alternativa decisamente meno dolorosa.

Ci capita sempre più spesso di raccontare, su queste colonne, storie di volontariato e di amicizia capaci di mettere le pezze alla totale assenza delle istituzioni pubbliche. Si pensi alla situazione dei senzatetto (che solo grazie alla Caritas potranno dormire al coperto, questo inverno, abbandonando i portici dell’ex chiesa di San Francesco). Oppure alle persone affette da patologie psichiche (anche in questo caso il mondo del volontariato sopperisce alle scarsissime risorse pubbliche). Ma in questo modo la distanza tra palazzi e bisogni delle persone si fa sempre più incolmabile. E l’indifferenza diventa istituzionale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA