L’azienda che investe
nella voce umana

Se siamo onesti fino in fondo – non è facile ma, a tratti, ci si può riuscire – dobbiamo ammettere che la tecnologia, e segnatamente l’informatica, ha reso tutti un pochino più vigliacchi. La parola è forte e sarete tentati di rispedirla al mittente. Considerate però che si riferisce esclusivamente al nostro comportamento sociale immediato e quasi distratto, alle più semplici comunicazioni famigliari e d’amicizia, soprattutto alle relazioni d’ufficio. Per quanto sia ridicolo, e lo è a pensarci bene, spesso non esitiamo un secondo a mandare una mail al vicino di scrivania, quando sarebbe più logico rivolgergli la parola. E quanto è comoda, spudoratamente comoda, quella funzione di Facebook che ricorda i compleanni degli “amici”? Nessuno sforzo di memoria a favore degli affetti, nessuno sforzo in generale: basta cliccare e si accede alla finestra che invia gli auguri nella “bacheca” del festeggiato senza neppure aprirla, il cielo non permetta si debbano perdere due secondi per una visita anche “virtuale”. Di fare una telefonata o spedire un biglietto, neppure ci sfiora il pensiero. Perché, dopo tutto, non sfruttare una funzione tanto comoda e, oltretutto, socialmente accettata? Chi porge gli auguri vi ricorre senza vergogna e chi li riceve fa graziosamente finta che siano graditi, ovvero che rappresentino un autentico pensiero d’affetto, una deviazione dal flusso degli impegni per favorire il concepimento di un piccolo omaggio personale.

E la mail inviata al collega della sedia accanto? Che vantaggi dà? Forse l’aver risparmiato la voce per qualche secondo? No: il beneficio è più sottile e, come dicevamo, gioca su quel tanto di codardia che ci distingue. Il messaggio di posta elettronica differisce la replica, evita il confronto per così dire “dal vivo”, e agevola, non di rado, lo scaricabarile.

A turno, siamo colpevoli e vittime di questo palleggiamento e tutti sembriamo accettarlo come radicato “status quo”. Perché rifiutarlo, dunque? Perché obiettare? Gli auguri di Facebook fanno comodo a tutti e le mail“strategiche” sono ormai uno standard tanto sociale quanto operativo. Eppure qualche ragione ci dev’essere se l’azienda tessile comasca Gabel ha deciso di proclamare questa settimana “mail free”, ovvero senza mail interne. I dipendenti sono stati invitati a non scambiarsi, in questi giorni, messaggi elettronici: “Un esperimento - scrive l’amministratore delegato Emilio Colombo - che ci riporterà indietro nel tempo, a quando la gente si parlava di più, la collaborazione era immediatamente fattiva in vista di un obiettivo e un bene comune”.

L’unico aspetto buffo della questione è che l’invito è stato mandato via mail, per il resto si tratta di faccenda serissima: l’azienda tenta di riportare i suoi dipendenti a un livello di comunicazione diverso, più alto, diretto e, se la parola non fosse troppo generica e severa, potremmo dire umano. Ci sono studi che dimostrano come un crescente numero di persone dipendano compulsivamente dalle mail, soffrano per lo stress di dover rispondere a tutti con rapidità ma, nel contempo, non concedano mai tregua al prossimo: come si permette di non rispondere all’istante? Chi scrive questo, mentre scrive, vede apparire sullo schermo del computer i messaggi di posta in arrivo e deve fare uno sforzo per non correre ad aprirli e non perdere, di conseguenza, la tensione logica necessaria a comporre l’articolo che state leggendo.

Scudo, distrazione, alibi: la tecnologia della comunicazione elettronica sta alterando le nostre relazioni. Non sappiamo se l’esperimento della Gabel frutterà in termini di efficienza aziendale. Di certo però offrirà ai dipendenti, a fine settimana, l’occasione preziosissima di una rinata consapevolezza. Se la pensate così anche voi - o se invece non siete d’accordo - fatecelo sapere. Ovviamente alla mail qui sotto.

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@MarioSchiani

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