Le baruffe romane
e Letta l’americano

Deve essere un destino ma ogni volta che Enrico Letta attraversa l’Atlantico e va a Washington per la consueta benedizione del Gran Capo della Casa Bianca al presidente (pro tempore) del governo italiano, a Roma succede qualcosa di grosso.

L’altra volta, solo venti giorni fa, Silvio Berlusconi fece dimettere prima i deputati e poi addirittura i ministri del PdL proprio mentre Letta sta giurando e spergiurando di fronte agli investitori americani che l’Italia era stabile, e che potevano fidarsi e mettere un po’ dei loro soldi anche da noi. E anche ieri, nella visita per dir così “di riparazione”, Letta si è lasciato alle spalle un mondo politico in subbuglio dopo il varo della Legge di Stabilità: la legge che ha spaccato in due ancora una volta il partito berlusconiano, ha provocato le quasi sicure dimissioni del vice di Saccomanni al Tesoro Fassina (PD) e portato Mario Monti fuori del partito che lui stesso ha fondato e che adesso probabilmente si frantumerà.

Però mentre a settembre, visto dagli States, a Roma sembrava venire giù il mondo, ieri tutto sommato questi sommovimenti potevano essere considerati come i soliti tafferugli italiani, peraltro non dissimili dall’ultima incredibile rissa washingtoniana sul debito federale che stava per andare a gambe all’aria tutto il mondo. Insomma, con la finanziaria in tasca, Letta si è presentato a casa di Obama con una certa soddisfazione. E infatti il presidente USA, da poco scampato al pericolo del default, lo ha ricoperto di elogi, apparsi almeno un po’ più intensi di quelli che prevede il prontuario americano in questi casi (che contiene sempre un bell’elogio “per la leadership” del visitatore).

In effetti tra Obama e Letta si è notata già negli incontri precedenti una certa simpatia e cordialità reciproca: l’età dei due governanti fa sì che si intendano con una certa facilità, e infatti così accade. Il nostro presidente del Consiglio potrà tornare a Roma con in tasca un viatico washingtoniano ad andare avanti. E’ vero che, visto da lì un presidente italiano (con la sola eccezione del detestato Berlusconi) vale un altro purché disposto a collaborare allo stesso modo, però Letta è giovane, parla bene l’inglese, sa di economia e in Europa è ben ammanigliato, anche se non certo a livello di Mario Monti.

Questo fa sì che la prossima presidenza italiana dell’Unione Europa possa essere attesa con una certa tranquillità dagli americani che non si aspettano scherzi e che soprattutto in questo momento vogliono inaugurare senza impacci la zona di libero scambio transatlantico. Del resto è la stessa speranza di Letta che vede in questa iniziativa una mano santa per le nostre esportazioni (noi europei ci dovremmo dividere quasi duecento miliardi di dollari in beni venduti oltre-Atlantico).

Insomma, se l’altra visita aveva avuto quella bruttissima conclusione (che infatti aveva mandato Letta, solitamente compassato, proprio fuori dei gangheri), questa è andata bene, nonostante che lungo le sponde del Tevere continuino i soliti tafferugli tra bande politiche contrapposte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA