Le larghe intese
e le gambe instabili

Enrico Letta ha fretta di voltare pagina e di stabilizzare il quadro di governo. Ma naturalmente non basta una dichiarazione per superare davvero un ventennio vissuto all’insegna di berlusconismo e antiberlusconismo. Anzi, l’impressione è che il passo indietro del Cavaliere abbia lasciato un vuoto che adesso va colmato.

Per paradosso le due gambe su cui si regge la maggioranza della larghe intese, Pd e Pdl, sono più che mai instabili. I democratici, alla vigilia di un congresso che ha in Matteo Renzi il grande favorito alla segreteria, restano
comunque divisi tra ex popolari ed ex comunisti: la partita in atto potrebbe avere riflessi sull’esecutivo anche se il premier si tiene ai margini della competizione tra Renzi e Cuperlo.

Quanto al Pdl, il fuoco cova sotto la cenere: al di là delle ’’interferenze’’ lettiane, giudicate un ’’intervento a gamba tesa’’ da Renato Schifani, c’è un malumore di fondo che Angelino Alfano stenta a sedare. In altre parole l’apertura di una vera fase programmatica che porti l’Italia ad agganciare la ripresa è ancora tutta da costruire. Si potrebbe ben presto scoprire che non era solo Berlusconi l’ostacolo sulla strada del governo: come dimostrano le polemiche nuovamente divampate sul taglio dell’Imu (il che mette in difficoltà il segretario del Pdl), sulla legge di stabilità e soprattutto sulla riforma della legge elettorale. Quest’ultimo è un punto delicatissimo: in realtà manca ancora un accordo sufficientemente solido e la mossa del democratico Roberto Giachetti di riprendere per protesta lo sciopero della fame smaschera il punto debole, il fatto che si sia ancora in alto mare per dissidi insanabili che - se la crisi fosse precipitata - ci avrebbero portato nuovamente a votare con il Porcellum.

Ne deriva che in poche settimane Letta si gioca tutto. Ha promesso di intervenire per decreto se le forze politiche non saranno in grado di raggiungere un accordo sul superamento dell’ attuale meccanismo di voto (il che è molto probabile) e dovrà prima o poi esprimersi anche sul lavoro dei ’’saggi’’ che stanno mettendo a punto i cardini della riforma della Costituzione. Si capisce che si tratta di un compito tanto impegnativo da presupporre una maggioranza molto solida. Uno scenario in cui le insidie vengono dalle ali estreme dei due partiti maggiori che non sembrano aver digerito molto bene il nuovo patto di governo basato sull’asse Letta-Alfano.

E’ possibile che a sinistra un Renzi segretario rappresenti una momentanea garanzia di continuità, sebbene resti il dubbio di come la vecchia nomenclatura possa incassare l’ascesa di un uomo così distante dalla tradizione della sinistra italiana. Ma è soprattutto il futuro del Pdl a preoccupare Letta. E’ chiaro che a sinistra si preferirebbe un chiarimento definitivo che passi per la nascita dei gruppi autonomi del Pdl e magari per una vera e propria separazione. Ma ciò significherebbe per Alfano rassegnarsi ad un parziale svuotamento del partito: svuotamento certo non premiato dai sondaggi. E poi davvero il vicepremier può rinunciare alla rassicurante presenza di una figura carismatica come quella di Silvio Berlusconi?

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