Le riforme di Renzi
invisibili per l’europa

Renzi dà prova della sua determinazione a “cambiare verso” all’Italia. Riesce in pochi mesi a far approvare (da un Senato comprensibilmente riluttante a decretare la sua estinzione) una riforma costituzionale che nessun altro politico ha avuto la forza e, tanto meno, l’ardire di proporre e, purtuttavia, riceve una reprimenda dalla Banca centrale europea e una gelata dai mercati. La reazione di Draghi e investitori esteri è tanto più significativa alla luce della benevola accoglienza che essi avevano riservato al giovane sindaco di Firenze al momento del suo insediamento a Palazzo Chigi. Nulla, quindi, di preconcetto nei suoi confronti ma un preciso e, nel caso del governatore della Bce, ben motivato giudizio di non apprezzamento dei primi atti del nuovo governo.

Se congiuntamente autorità europee e poteri forti internazionali storcono il naso, non è che lo facciano per capriccio. Renzi dovrebbe prenderne atto e provare a riflettere sulle manchevolezze della sua strategia. A dar ascolto alle sue dichiarazioni a caldo, sembra invece che si senta stimolato a procedere per la sua strada, ancor più che convinto di essere nel giusto. Caso mai, ne trae motivo per accelerare il passo. Se il bicchiere è solo mezzo pieno - pare essere il suo ragionamento - bisogna affrettarsi a riempirlo del tutto. Non si rende conto che c’è il pericolo che il vuoto finisca con il risucchiare il pieno. Val la pena di chiedersi allora: in che cosa la strategia di Renzi pare non funzionare?

Come sempre, sono i fatti ad aver la testa più dura delle parole. E i fatti dicono che l’economia non riparte, anzi fa marcia indietro. Per due semestri il nostro Pil è stato negativo: siamo tecnicamente in recessione. Non è che il presidente del consiglio sia stato con le mani in mano ma evidentemente è mancata quella cura choc che doveva sbloccare il-paese e convincere gli operatori economici che - per ricorrere ad una sua espressione - si è “cambiato verso” davvero.

Ha notato più di un osservatore politico che la decisione di Renzi di puntare, in via privilegiata, sulla riforma del Senato è ininfluente ai fini di un rilancio immediato della crescita. Il premier ha ragioni da vendere a sostenere che senza un meccanismo istituzionale più snello sia fatica improba governare. Non dice, però, che la scelta di partire dai costi e dalle complicazioni della politica sia stata insieme la più facile e la più scaltra. Le riforme economiche necessarie per il rilancio dell’economia sono per definizione politicamente dolorose. Colpiscono interessi. Almeno nell’immediato costano consenso. Cosa c’è di meglio - deve aver pensato lo scafato segretario democrat - che mettere sulla graticola la Casta, cominciando a tagliarne posti e prebende? Si tiene viva la fiamma dell’antipolitica. Si consolida la sua immagine di cavaliere solitario in lotta contro il drago mangia soldi dei cittadini contribuenti. Purtroppo, però, l’economia ragiona in modo diverso. Non si interessa del consenso ma delle opportunità che la politica sa o meno dischiudere e si comporta di conseguenza.

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