Le troppe ragioni
per dire «vergogna»
le troppe ragioni
per dire vergogna

Quel che è accaduto ieri nel Mediterraneo al largo dell’isola dei Conigli, è commentabile solo con la parola che d’istinto ha pronunciato il Papa durante l’udienza: «Vergogna».

Vergogna perché? Perché in questi ultimi 20 anni sono quasi 20mila le persone che hanno trovato la morte tentando la traversata verso l’Europa. Perché le reazioni, ogni volta, si limitano sempre ad esprimere dolore ed indignazione senza mai neanche enunciare un impegno ragionevole e concreto. Perché un continente ricco, tecnologicamente attrezzato come il nostro in vent’anni non è riuscito a gestire un fenomeno di questa portata. Gestire non vuole dire necessariamente accogliere, vuol dire affrontare con serietà, come l’emergenza umana in questo caso richiede, questo flusso drammatico di uomini dal mondo povero al mondo ricco (che ricco resta, anche se attanagliato dalla crisi).

A differenza di tante emergenze umanitarie che affliggono il mondo, questa ha due caratteristiche che la rendono diversa e che dovrebbero farne un’emergenza gestibile. La prima caratteristica è che dura da tantissimi anni, quindi c’è stato modo di studiarla, di capirne le dinamiche e le ragioni. Non è quindi un’emergenza che ci prenda alla sprovvista. La seconda è che il luogo in cui accade si trova alle porte di casa nostra; quindi si consuma su terreni o su acque che ben conosciute e certamente ben monitorabili.

Sarebbe dunque lecito aspettarsi che un continente così sollecito nel regolare ogni minimo aspetto della vita quotidiana, si prendesse la responsabilità di provare a regolare questo aspetto ben più urgente e drammatico. Invece la politica a Bruxelles come a Roma si è resa responsabile di gravissima inerzia. Un’inerzia ogni volta coperta dalla cortina fumogena delle rituali, e spesso volgari, polemiche contro il fenomeno immigrazione. Sia detto per inciso, ma da un assetto istituzionale e politico come quello che vede Laura Boldrini (ex portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati) alla presidenza delle Camere ed Emma Bonino (paladina dei diritti umani) al ministero degli Esteri c’era da aspettarsi una maggior capacità di iniziativa e di pressione nei confronti di Bruxelles.

«Vergogna» significa che qualcosa, se non addirittura molto, si poteva fare per evitare questo stillicidio di stragi e invece non s’è fatto niente. Proprio ieri il Consiglio d’Europa aveva condannato l’Italia in modo abbastanza pilatesco, scaricando sul nostro paese le responsabilità di quanto sta accadendo: invece il problema che si elude è quello delle leggi europee che vincolano la richiesta di asilo da parte di persone in fuga da guerre o repressioni, alla presenza sul suolo di uno Stato membro. Per capire il problema ci si deve mettere nei panni di un siriano, di un eritreo o di un somalo che arrivato in Libia si trova in una sorta di trappola: non può tornare indietro perché in tanti casi ne andrebbe della sua vita. E non può chiedere asilo politico perché non è sul suolo europeo. Quindi ha davanti la sola soluzione di mettersi nella mani degli scafisti. Ci sono pochi dubbi che queste persone che premono ai confini dell’Europa siano in fuga da situazioni drammatiche: non a caso i picchi dei flussi corrispondono all’inasprirsi dei conflitti o delle tensioni interne in tanti paesi. Lo scorso anno erano stati 12mila, quest’anno con la guerra in Siria e lo scontro interno in Egitto sono già 31.500.

Che cosa è possibile fare? Ad esempio valutare la proposta avanzata dal direttore del Consiglio italiano dei rifugiati Christopher Hein. Secondo lui bisognerebbe che i richedenti asilo potessero inoltrare la loro richiesta alle ambasciate dei paesi europei in Libia. Una procedura che la Germania ha adottato proprio in queste settimane per accogliere 5mila richiedenti asilo siriani, che altrimenti avrebbero avuto la sola alternativa di una fuga verso l’Europa su qualche famigerata carretta del mare.

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