Leggere una città
con i nomi delle vie

Leggere un libro può essere avvincente, ma anche leggere una città può portare delle sorprese e delle scoperte, capaci di trasformare una passeggiata in un’avventura. Peccato che, più passa il tempo, meno ci sia da leggere sui muri cittadini (se non le sigle ripetitive e inutili dei writer, ma questo è un altro discorso).

Da bambino ho imparato la prima parola “difficile” da un cartello stradale: “giureconsulto”, definizione che accompagnava il nome di Andrea Alciato e le date di nascita e di morte (1492-1550) sull’insegna della via a lui intitolata, dove si trova la casa della mia infanzia. Crescendo ho continuato a leggere i muri con effetti contrastanti: un istintivo (col senno di poi esagerato) rigetto per il Risorgimento, dovuto a un eccesso di iscrizioni retoriche (un esempio si trova sul basamento carducciano della statua di Mazzini nell’omonima piazza di Como) e una crescente passione per la poesia («Voglio fare con te / ciò che la primavera fa con i ciliegi»: colpì il me stesso adolescente la frase senza firma su una parete dei giardini a lago; solo tempo dopo avrei scoperto che erano gli ultimi versi di una poesia di Neruda, effettivamente un po’ adolescenziali, ma del resto facevano parte del primo libro pubblicato a vent’anni).

Lasciando da parte i ricordi personali, che giustamente possono non interessare, proviamo ad attraversare la città murata con il naso all’insù per vedere cosa succede (a parte il rischio di cadere).

Superata Porta Torre, una targa accanto al portone d’ingresso della succursale del liceo “Teresa Ciceri” sprizza l’orgoglio dei comaschi del 1914 di aver ritrovato, sotto quell’edificio (proprio durante gli scavi per costruire la sede allora destinata all’istituto tecnico Caio Plinio Secondo) i resti dell’antica Porta Praetoria, principale accesso alla Como romana.

Ma già una trentina di metri più avanti, all’incrocio tra via Cantù e via Rovelli, salta all’occhio la progressiva sciatteria (o ignoranza) che abbiamo riservato anche alle più banali indicazioni toponomastiche (con l’eccezione del progetto “I nomi della città” degli Amici dei musei, più libro di Fabio Cani, che dal 1999 ha riportato in luce sui muri del centro la toponomastica preunitaria): “Via Cesare Cantù storico e letterato 1804-1895” ci informa la più antica delle tre targhe poste all’intersezione tra le due vie, mentre le altre due ci dicono ben poco di Giuseppe Rovelli. Una solo nome e cognome, la seconda si limita ad aggiungere date di nascita e morte (1738-1813). E pensare che scrisse una fondamentale storia di Como, base anche per l’analoga opera del Cantù.

Inoltrandosi in via Diaz l’assenza di due iscrizioni in particolare è quasi dolorosa: al n. 32 le uniche scritte sul portone sono quelle dei suddetti graffitari e sì che siamo davanti all’“austero palazzo di 50 stanze” di cui parla Teresa Ciceri nel suo testamento. Ricordare che li abitò una pioniera della botanica sarebbe doveroso, come auspica la sua biografa Licia Badesi (alla Ciceri, molto più che a Volta, dobbiamo anche l’arrivo e la diffusione delle patate in Lombardia, come racconteremo domani nelle pagine di Cultura comasca).

Più avanti sulla destra (per riportare i numeri civici ci vorrebbe un libro: ne ha uno per ogni ingresso) il fu teatro Cressoni si appresta ad essere trasformato in abitazioni e negozi. L’insegna con il nome del coraggioso giornalista, poeta, patriota, impresario teatrale è già sparita da qualche settimana: non resta che rivolgere un appello ai nuovi proprietari affinché a ristrutturazione ultimata non dimentichino di porre almeno un’iscrizione, a ricordo di che cosa sono stati quel luogo e il suo “inventore”.

Vi avevamo promesso un’avventura, non una lamentazione, e allora arriviamo fino al lago per incontrare, nell’ordine, l’intrepido Tomaso Perti, che la mattina del 23 marzo 1848 si affacciava alla finestra del palazzo comunale di allora - oggi sede di due negozi di marche di lusso - per proclamare la vittoria sugli occupanti, e l’agognata abolizione della tassa sul sale, dopo «cinque giornate di febbrile preparazione e di lotta» con le quali «il popolo comasco costringeva alla resa delle armi e della bandiera la numerosa e agguerrita guarnigione austriaca», come ricorda proprio una bella targa (che però avrebbe bisogno di qualche ritocco).

In via Carcano, che quasi nessuno conosce, sacrificata com’è tra le piazze intitolate a Mazzini e all’inventore della pila, si affaccia, questa volta da un muro in forma di altorilievo, il titolare della strada, che in quella casa morì il 6 aprile 1918, Paolo Carcano.

La targa, anche questa da ripulire, ci ricorda tra le altre cose che l’anno prossimo ricorrerà il centenario di un uomo che «fra le schiere garibaldine, nei consigli comunali e della provincia, ai supremi fastigi dello stato, fortemente amando, studiando, operando, bene meritò della patria».

Gli spunti per celebrare l’anniversario non mancano e sono piuttosto attuali: il personaggio, giusto per ricordare un paio di iniziative intraprese da parlamentare e ministro (oltre ai soldi portati a casa per rendere autonomo il Setificio che gli è stato intitolato), propose ai colleghi di azzerarsi l’indennità e firmò la legge che ha introdotto la maternità e tutelato il lavoro minorile.

Per finire un tocco romantico, davanti a un edificio che altrimenti di romantico non avrebbe nulla, visto che è sede di una banca, la Bnl di piazza Cavour.

Alzando lo sguardo sopra l’insegna, una targa ricorda che «presso l’albergo Dell’Angelo in passato sito in questo luogo... soggiornarono Franz Liszt e Marie D’Agoult» e lì nacque «la loro figlia Cosima poi sposa di Richard Wagner... il 24 dicembre del 1837». Siamo ancora in tempo per ricordarla, prendendo spunto dai 180 anni della sua nascita, alla prossima Città dei Balocchi. O nelle preghiere della vigilia di Natale.

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