L’estate della gente
dalla vita buona

Ieri mattina, alla spiaggia Lido Verde di Catania, la giornata è iniziata con una preghiera letta da una ragazza e con un mazzo di fiori che i bagnini hanno gettato in mare.

Sabato un gommone con un centinaio di giovani immigrati provenienti da Siria ed Egitto si era arenato a poche decine di metri dal bagnasciuga; pochi metri che sono stati fatali a sei di loro, tutti giovanissimi, che non sapevano nuotare. A quell’ora c’era solo il titolare sulla spiaggia, che ha dato l’allarme e si è prodigato ad aiutare gli sventurati. Poi, sconvolto per il dramma, ha deciso di chiudere i suoi bagni. “Niente mare, dopo aver assistito ad una
tragedia così», ha spiegato. Un gesto semplice, assolutamente normale, che però vale più di mille discorsi sull’accoglienza e sulla tolleranza.

Il giorno dopo, sempre il mare, ci ha restituito un’altra storia drammatica ed esemplare. Questa volta la spiaggia era quella di Palinuro, nel Cilento. Con il mare a bandiera rossa sei ragazzi s’erano comunque avventurati in acqua, nella spiaggia libera le Saline. Giuseppe Paladino, 45 anni, avvocato di Sala Consilina, quando li ha visti annaspare tra le onde, d’istinto s’è buttato. Alla fine si sono salvati tutti, tranne lui, che in spiaggia era arrivato per una tranquilla giornata di vacanza con moglie incinta e figlioletto.

Storie di cronaca che non hanno degli eroi come protagonisti, ma persone del tutto normali che non si sottraggono ad una chiamata della realtà. Che hanno fatto sino in fondo il loro compito di uomini. «Un miracolo comune: l’accadere di molti miracoli comuni», potremmo definire questi gesti, ricorrendo ai versi di Wislawa Szymborska, Nobel per la Letteratura.

Che cosa ci insegnano storie come queste? Tante cose, a volerle esaminare con attenzione. Innanzitutto che non sono storie di uomini speciali, ma semplicemente di uomini dalla “vita buona”. Che quindi davanti a situazioni come queste si comportano con la naturalezza che è propria di ogni altro loro gesto quotidiano. C’è un istinto al bene, alla solidarietà che ancora contrassegna la vita di tante persone, e questo è il patrimonio più grande per un popolo: vederlo in azione, in situazioni così drammatiche è un fatto che stimola tutti a credere nel valore di una “vita buona”per se stessi, senza cedere alla sirene sempre seducenti dell’individualismo e del cinismo. Per citare un altro grande Nobel (per la Pace), Dag Hammarskjöld, fatti come questi dimostrano che l’uomo che «vive una vita di servizio attivo verso la società si trova in completa armonia con se stesso». C’è poi un altro aspetto che queste storie ci sottopongono. Tutt’e due hanno infatti come contesto drammatico il mare e il mare ha sempre due sponde, ed è sempre più complicato stare su una sponda pensando di ignorare quel che si consuma sull’altra. Sulla Playa di Catania, sabato scorso le due sponde sono state, per qualche drammatica ora, una soltanto. Era inevitabile pensare davanti a quelle immagini, al gesto che il Papa, solo qualche settimana fa aveva compiuto recandosi a Lampedusa. Il Papa con quel suo andare, con quell’uscire da ogni protocollo era come se ci invitasse a credere tutti in quei “miracoli comuni” di cui parlava la Szymborska nei suoi versi. Miracoli che come primo buon frutto hanno quello di sconfiggere il peggior nemico di una “vita buona”: il fatalismo.

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