Lezione regale
all’Italia dei soliti

«Presto resteranno solo cinque re: il Re d’Inghilterra, il re di picche, il re di fiori, il re di cuori e il re di quadri». Lo diceva nel 1948 uno che un po’ se ne intendeva, se non altro perché faceva lo stesso mestiere: re Faruq d’Egitto, destinato alla detronizzazione. Quasi 70 anni dopo la profezia sembra sul punto di avverarsi. A parte la Corona Britannica con Elisabetta II in grado di passare oltre qualsiasi tempesta, con buona pace del principe Carlo, che a furia di invecchiare nell’attesa del suo turno è diventato addirittura un

soprannome che nel centrodestra nostrano è stato appioppato a uno dei tanti aspiranti alla successione di Berlusconi.

Le altre corone d’Europa sembrano meno stabili: dopo il re del Belgio e la sovrana d’Olanda, è arrivato anche Juan Carlos di Spagna a passare la mano al figlio Felipe. Esce di scena un personaggio non secondario nella storia d’Europa. Una figura molto legata all’Italia e a Roma in particolare dove nacque e trascorse gli anni dell’esilio e della dittatura di Francisco Franco nel suo Paese natio. Toccò poi al Re gestire la delicatissima fase di transizione di un grande paese da una dittatura durata il doppio di quella di Mussolini alla democrazia. E lo fece molto meglio dei due sovrani Savoia a cui la storia assegnò più o meno il medesimo compito in Italia.

Ma la lezione da statista che re Juan Carlos ha dato una volta asceso al trono, è in qualche ripetuta nel momento del congedo. Anche in questo caso, infatti, il sovrano si è esposto in prima persona per un interesse superiore: quello della sua dinastia sporcata da alcuni scandali e della Spagna . E nel passare la corona al figlio gli ha espresso quella fiducia che, vale la pena di ricordarlo in questi giorni di festa della Repubblica Italiana, non sembrava avere Vittorio Emanuele III di fronte alle pressioni per abdicare in favore di Umberto. «Non è altezza», avrebbe confidato l’allora re d’Italia.

Juan Carlos invece ha salutato l’ascesa al trono di Felipe con un “largo ai giovani”. Nel nostro paese, quello in cui neppure l’arrivo a palazzo Chigi del capo di governo più giovane di sempre, ha abbassato abbastanza la media da gerentocomio della classe politica e/o dirigente, forse qualche orecchio potrebbe anche fischiare. Vero che resta in vigore il “Franza o Spagna” purché se magna, però dalla nazione iberica che in fondo abbiamo sempre guardato come una sorella latina minore è arrivato un bel segnale.

E giunge proprio nei giorni in cui un ex premier di 78 anni (due più di Juan Carlos), fa sapere che rimarrà leader di un partito di centrodestra, congelando così ogni aspettativa di riscossa moderata di fronte alla prospettiva di un “regime” renziano. Pensare che anche qui si prospettava un soluzione di padre in figlia, anche se, va detto che la leadership in politica per essere legittimata si conquista contro qualcuno, come sa bene Renzi e forse anche Fitto. Non che l’età sia un fattore dirimente, come insegna Napolitano, ma lo spirito di servizio di Juan Carlos trascende anche l’anagrafe. Una lezione regale all’Italia dei soliti noti.

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