Lezioni private,
l’esempio di Erba

A volte, basta la pagellina del primo quadrimestre per far tremare non soltanto i polsi agli studenti, ma anche il bilancio familiare. Secondo una ricerca condotta da due associazioni dei consumatori - Adoc e Codacons - il recupero reale di un debito formativo (un’insufficienza, per chi non parlasse lo “scuolese”) alle superiori costa in media 800 euro spesi in lezioni private.

Capite bene perché faccia notizia una scuola, in questo caso il Carlo Porta di Erba, che per una volta decide di rispettare la legge alla lettera (superfluo ogni commento su questo dettaglio). Anzi, le leggi. Innanzi tutto il decreto ministeriale 80 del 2007, quello con cui l’allora ministro Fioroni non soltanto ridiede vita agli esami a settembre (per la verità fine agosto, ma anche su questo dettaglio la legge è spesso stata violata dalle scuole, che non se la sono sentita di accorciare di qualche giorno le vacanze dei prof e dei ragazzi) e al conseguente mercato delle lezioni private, ma introdusse anche, o almeno cercò di rendere più vincolanti rispetto ai predecessori Lombardi e Berlinguer, i corsi di recupero, che avrebbero dovuto evitare proprio la piaga delle ripetizioni.

«Le istituzioni scolastiche sono tenute comunque a organizzare, subito dopo gli scrutini intermedi, interventi didattico-educativi di recupero per gli studenti che in quella sede abbiano presentato insufficienze in una o più discipline, al fine di un tempestivo recupero delle carenze rilevate», dice l’articolo 1 del suddetto decreto. Però poi, nella vita reale, capita che arrivino a casa pagelline con un quattro in matematica e accanto l’indicazione “studio individuale”. E se il genitore va a scuola a chiedere spiegazioni, si sente dire dal dirigente: «Mio caro signore, è stato il collegio docenti a scegliere per quali materie istituire i corsi di recupero e quali no. Lei forse non sa che, da quando il governo ha introdotto i recuperi, ha pure tagliato del 60% i finanziamenti alle scuole e quindi... Si fa quel che si può».

Lo stesso discorso vale per l’organizzazione delle «attività di recupero», che secondo l’ordinanza ministeriale 92 firmata dallo stesso Fioroni subito dopo il decreto 80, «costituiscono parte ordinaria e permanente del piano dell’offerta formativa che ogni istituzione scolastica predispone annualmente». E che dovrebbero avere «lo scopo fondamentale di prevenire l’insuccesso scolastico», realizzandosi «pertanto, in ogni periodo dell’anno scolastico (non fate caso alle ripetizioni: vengono segnate in rosso agli alunni, non al legislatore), a cominciare dalle fasi iniziali».

Va riconosciuto che sono tante le scuole che cercano, con i pochi fondi a disposizione, di non rinunciare agli sportelli pomeridiani di sostegno alla didattica, ma è più raro il caso, come quello erbese, di un dirigente, e con lui gli organi collegiali, che decida di dare assoluta centralità alle attività per il recupero delle lacune accumulate dagli studenti, dichiarando di fatto guerra al mercato delle lezioni private, che rappresenta un’ingiustizia al quadrato (opera una discriminazione tra chi se le può permettere e chi no e alimenta la frode fiscale).

Come troppo spesso accade in questa Italia, è lasciato alla buona volontà dei dipendenti pubblici, che a volte tocca punte di abnegazione e ingegnosità meritevoli di finire sul giornale, il compito di raddrizzare le storture e le approssimazioni che piovono dall’alto. Basti pensare che il problema di garantire una scuola di qualità, senza più costringere le famiglie a ricorrere alle ripetizioni in nero, è sul tavolo dei ministri da almeno ventuno anni. Era il ’94, quando D’Onofrio intervenne col il colpo di spugna che nello stesso momento cancellò gli esami di riparazione e gli arrotondamenti pomeridiani di migliaia di docenti. Tutti i suoi successori hanno sbianchettato e corretto il provvedimento a più riprese, con la stessa precisione di uno studente che tira a indovinare il teorema di Pitagora senza averlo neanche letto.

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