L’Italia-Concordia
si avvicina agli scogli

Altro che Concordia, il governo Letta ormai galleggia a fatica e potrebbe da un momento all’altro inabissarsi. Quel che è peggio che se affonda lui, affondiamo anche noi. E il conto economico ora potrebbe essere così caro per le tasche già abbastanza vuote da oscurare perfino i sacrifici compiuti negli anni caldi seguiti alla crisi del 2007-2008. A fare due calcoli ci ha pensato la Cgia di Mestre, secondo cui nel 2014 con l’eventuale crisi di governo, sulla testa degli italiani cadrebbe una mazzata da 9,4 miliardi. I conti sono presto fatti: se l’aumento Iva viene sterilizzato e rinviato al primo gennaio, fra tre mesi appunto la “bolletta” di questa imposta segnerebbe un bel 4,2 miliardi all’anno, di cui 2,8 pagati solo dalle famiglie. Ma anche i restanti 1,4 miliardi, colpendo imprese e amministrazioni, finirebbero per ricadere pro quota sempre sui cittadini e sui loro acquisti. Tuttavia la botta più grossa arriverebbe con l’Imu: stante il fatto che la service tax è ancora da disegnare e che un governo dimissionato-dimissionario non potrebbe farlo, la famigerata imposta sul patrimonio immobiliare dispiegherebbe tutta la sua forza chiedendo agli italiani 4,42 miliardi di euro, fra prima e seconda rata e senza più le detrazioni di 50 euro per ciascun figlio, il palliativo introdotto per le famiglie nel 2012. Senza contare che senza un esecutivo tornerebbe in ballo anche la seconda rata Imu di quest’anno che vale 2,4 miliardi. Fatti due conti della spesa, solo con queste voci, e senza la seconda rata Imu di quest’anno e non contando la Tares rivista con l’incremento del 30% già previsto, il prossimo anno ciascuna famiglia dovrà sborsare 280 euro in più.

Ma il peggio sarebbe solo all’inizio, perché le cifre di Saccomanni nel Documento di economia e finanza (Def) saranno ben diverse da quelle un po’ ottimistiche anticipate finora. In altri termini senza un governo sarebbe ben difficile confermare quel +1% di Pil previsto per il 2014, agganciando i cosiddetti venti di ripresa, che dovrebbe salire a +1,7 nel 2015 fino al quasi 2% del 2017. Allo stesso modo sarebbe difficile confermare il ritmo previsto di rientro dall’indebitamento netto fissato al -2,3% l’anno prossimo, mentre il debito pubblico difficilmente arriverebbe al 123% fissato per il 2017.

Già il Fondo monetario rilegge i dati italiani depurandoli dall’effetto “psicologico” che un governo – questo ma anche gli altri – dà delle misure previste: il Fmi infatti si basa solo sui numeri e non tanto sulle aspettative delle ricadute e, in questi termini, gela la possibilità, evocata dal Def, che a governo Letta confermato questi possa contare, tra mini crescita e soprattutto risparmi sullo spread, su circa 8 miliardi in più da gettare sul piatto del taglio del cuneo fiscale e delle politiche industriali. E se già oggi per il Fmi è arduo riportare il debito a quota 123 e “vede” come più probabile la quota 135%, non può sfuggire a nessuno quale sarebbe la ricaduta di una crisi di governo sulle tasche di tutti noi. Di certo è che quegli 8 miliardi, quel “tesoretto” individuato da Saccomanni, non vedrebbero mai la luce e con essi si affonderebbero anche le speranze di una seppur piccola ripresa o di portare lo spread con la Germania di Merkel III a quota 100. E, al contrario della Concordia, non vi sarebbe alcun prefetto Gabrielli capace di riportarle a galla.

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