Lombardia a fondo
se le tasse non calano

Fin dai tempi dell’unificazione nella nostra vita politica è assai vivo il dibattito intorno alla cosiddetta “questione meridionale”, e cioè alle difficoltà di un Mezzogiorno incapace di agganciare il treno della crescita. Negli ultimi tre decenni, inoltre, con l’avvento della Lega è emersa anche una “questione settentrionale” connessa ai problemi di un Nord che si sente sottorappresentato, malservito, troppo ai margini. C’è però anche un Nord del Nord e si tratta naturalmente della Lombardia.

Fa quindi bene l’ultimo numero del settimanale “Tempi” a focalizzare l’attenzione

proprio su alcuni dati che da tempo sono di pubblico dominio, ma che continuano a rimanere ai margini della discussione. E si tratta delle risorse che, con la tassazione, la società lombarda (imprese e famiglie) ogni anno versa a Roma senza ricevere, in contraccambio, alcun beneficio. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, la differenza tra quanto i lombardi danno allo Stato con le imposte e l’insieme dei servizi nazionali e locali che essi ricevono è in effetti superiore ai 53 miliardi annui. Questo significa che ogni anno una famiglia lombarda di cinque persone perde più di 27 mila euro e, di conseguenza, in un decennio rinuncia a una somma superiore ai 270 mila euro.

Nel suo articolo apparso sul settimanale citato Luigi Amicone parla della Lombardia come del “bancomat dello Stato”. In altre parole, la locomotiva d’Italia è una regione che vede sparire dal proprio territorio una percentuale rilevante della propria ricchezza, la quale non è spesa a favore della propria popolazione ma, in larga misura, viene utilizzata per finanziare logiche assistenziali nel resto del Paese. Gli studi ormai sono numerosi e le cifre in parte divergono, ma c’è una chiara convergenza sul fatto che una quota davvero massiccia della ricchezza prodotta dai dieci milioni di lombardi è consegnata ad altri territori.

C’è da chiedersi quanto a lungo su tutto ciò permarrà il silenzio. Perché è chiaro che è sempre più difficile difendere un sistema redistributivo che, al tempo stesso, rovina i lombardi con la tassazione abnorme e il resto d’Italia con una spesa pubblica fuori controllo la quale, specialmente nel Sud, alimenta lo strapotere di politici e burocrati. Si sta distruggendo un’area economicamente storicamente molto produttiva e, al tempo stesso, si difendono meccanismi che impediscono la crescita dell’economia privata del Mezzogiorno.

In questo scenario generale il referendum approvato dalla Regione Lombardia appare come un’iniziativa politica piuttosto timida. E nonostante ciò si deve registrare come perfino questo tentativo del parlamentino lombardo di dare voce alla popolazione e permettere un maggiore autogoverno sia avversato da chi pensa che continuare a spostare ricchezza dalla Lombardia alla Calabria o alla Campania aiuti al tempo stesso Milano e Catanzaro, Como, Lecco, Sondrio e Avellino. Ormai dovremmo avere capito che non è così: che l’economia lombarda non reggerà senza una riduzione delle imposte e che non avremo mai un vero sviluppo al Sud senza un progressivo taglio della spesa pubblica.

Sotto vari punti di vista, o si affronta la “questione lombarda” o si va tutti a fondo.

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