L’Ordine e tutta
la poesia della bici

Probabilmente Alessandro Volta non è mai andato in bicicletta. Ma la rivoluzione delle due ruote comincia proprio nell’epoca di grandi cambiamenti, e incredibili progressi, in cui visse l’inventore della pila: il 12 luglio 1817 Karl von Drais percorse sulla “draisina” 28 chilometri da Mannheim a Schwetzingen, andata e ritorno.

Non aveva i pedali il suo velocipede - quelli sarebbero stati applicati solo nel 1860 - ma l’inventore, che per dimostrare quanto credesse nella democrazia aveva rinunciato ai titoli nobiliari, era consapevole dell’impatto che avrebbe avuto sulla società: presto anche la gente del popolo si sarebbe potuta spostare (quasi) alla stessa velocità dei ricchi in carrozza.

Duecento anno dopo la bicicletta è più che mai attuale. Molto dei temi legati alla sostenibilità ruotano attorno ai pedali: piste ciclabili, cicloturismo, biciclette a pedalata assistita come ecologica alternativa ai motorini. Una ditta americana ha da poco annunciato che in agosto comincerà a commercializzare la prima bicicletta intelligente, capace di misurare le funzioni corporee di chi la “cavalca” e dotata di gps, in modo da essere facilmente localizzabile in caso di furto. Sapete come hanno deciso di chiamare questo velocipede 2.0? Volta, naturalmente.

Tutto questo c’entra con il numero de “L’Ordine” che troverete domani in edicola con “La Provincia”, interamente dedicato alla bicicletta, non solo nel bicentenario della draisina, ma anche, e soprattutto, nel giorno in cui il centesimo giro d’Italia arriva al traguardo finale di Milano.

Non a caso, seguendo il filone delle innovazioni capaci di suscitare emozione e cambiare il corso della storia, lo scorso 5 marzo avevamo dedicato un numero monografico proprio all’inventore della pila, nel 190° della sua scomparsa, e una settimana fa al volo, nel 90° della trasvolata atlantica di Charles Lindbergh. Autorevoli firme analizzeranno l’impatto culturale, sociale e antropologico della bicicletta: apre Maurizio Cucchi, tra i maggiori poeti dell’ultimo mezzo secolo, con un pezzo dedicato proprio alla corsa rosa e al senso delle imprese compiute dai suoi protagonisti dal Dopoguerra ad oggi; Alberto Fiorin, tra i massimi esperti al mondo della bicicletta, ne riassume due secoli di vita e prospetta gli scenari futuri; Emilio Magni ricostruisce per aneddoti la storia del santuario del Ghisallo; i Bidon, “collettivo” di scrittori di ciclismo, ci regalano un’anticipazione del nuovo libro pubblicato da Ediciclo, ovvero due di 99 storie del “Centogiro”; il cantautore Luca Ghielmetti remixa le quattro più famose canzoni italiane dedicate ad altrettanti ciclisti componendo una nuova “ode” alla storica maglia nera Luigi Malabrocca; Fulvio Panzeri ci fa risalire i 48 tornanti dello Stelvio attraverso la letteratura; Giuseppe Frangi ci conduce in una pedalata nella storia dell’arte, dai manifesti di Toulouse-Lautrec per uno dei primi produttori di biciclette fino a quelle pop di Mario Schifano; Elena D’Ambrosio pesca dall’Archivio de “L’Ordine” un reportage del ’46 sul giro della ricostruzione. In ultimo, una chicca letteraria: un passo del “Dio di Roserio”, forse il più bel romanzo ambientato nel mondo del ciclismo, scritto da Giovanni Testori con illustrazioni di Velasco Vitali.

E’ stato davvero un cambiamento epocale, quello portato dalla diffusione della bicicletta in Italia nel primo Novecento. Nel 1909, quando si svolse il primo giro d’Italia, era ragazza la madre di Giorgio Caproni, Anna Picchi, prima, scandalosa, donna in bicicletta per le strade di Livorno: «Per una bicicletta azzurra, / Livorno come sussurra! / Come s’unisce al brusio / dei raggi, il mormorio! / Annina sbucata all’angolo / ha alimentato lo scandalo. / Ma quando mai s’era vista, / in giro, una ciclista?».

Se, come scrive Cucchi, le imprese dei ciclisti hanno la forza di fare uscire le persone dalle case e trascinarle lungo le strade, la bicicletta ha e avrà sempre in sé lo straordinario potenziale di farci superare i nostri limiti. Non a caso il primo disegno di una rudimentale bicicletta, quasi certamente un falso, è stato attribuito allo stesso autore delle celebri macchine volanti, Leonardo da Vinci. E una pedalata è riuscita a inebriare persino Giovanni Pascoli: “Mia terra, mia labile strada, / sei tu che trascorri o son io? / Che importa? Ch’io venga o tu vada, / non è che un addio! // Ma bello è quest’impeto d’ala, / ma grata è l’ebbrezza del giorno. / Pur dolce è il riposo... Già cala / la notte: io ritorno” (“La bicicletta”, 1903).

Ma forse i versi che meglio rendono la straordinaria sensazione che si prova andando in bicicletta li ha scritti in dialetto emiliano Cesare Zavattini, sceneggiatore di innumerevoli capolavori del cinema italiano, tra cui “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica: “I par usei / la gent in bicicleta. / Apena al pé / al toca ancor la tera / a turna in ment / col ch’i evum vrü smangà” (Sembrano uccelli / la gente in bicicletta. / Appena il piede / tocca ancora la terra / torna in mente / quello che avevamo voluto scordare).

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