Lungolago, la storia
esemplare di uno spreco

Le paratie, una vera storia italiana. Di più. Il classico scandalo italiano. Che comincia così: dopo l’alluvione del 1987 la politica ha avuto a disposizione un autentico tesoro, con i fondi della legge Valtellina. Anche Como si è accodata, inseguendo un doppio obiettivo: arginare le esondazioni e regalarsi una nuova passeggiata a lago.

Da allora sono passati più di 25 anni e quel tesoro è stato utilizzato nel peggior modo possibile: nel 2016 avremo sì una passeggiata nuova di zecca, ma il progetto di difesa idraulica (le famose paratie) sono state sostituite in corsa con un ben più modesto insieme di panconi da montare manualmente. E che, prevedibilmente, finiranno ad arrugginire in qualche magazzino. E non è tutto: il cantiere, inaugurato in pompa magna l’8 gennaio del 2008, nella migliore delle ipotesi sarà concluso otto anni dopo. Anni di lago oscurato, che hanno regalato ai comaschi e ai turisti un’invidiabile sequenza di stagioni tra palizzate, griglie, new jersey e folli gimkane. Per non parlare del muro, scempio di portata inarrivabile, che porta l’indelebile marchio dell’amministrazione Bruni e che ha consegnato Como alla ribalta mondiale nell’autunno del 2009. Adesso, dopo 32 mesi di fermo cantiere, torna in campo la politica e ci mette una pezza da 11 milioni e mezzo.

Il governatore Maroni e il sindaco Lucini ieri avevano ragione di sorridere. Non hanno colpe rispetto al passato e si sono fatti carico di un disastro ereditato dalle precedenti amministrazioni. Ma il disastro resta. E lo spreco pure: la firma della convenzione tra Comune e Regione ci consegna un’amara verità e certifica il conto, passato dai 15 milioni e 763mila euro del 2005 (progetto esecutivo) a oltre 30 milioni. Insomma, in otto anni il costo è raddoppiato.

Ieri un cronista ha consegnato a Maroni una domanda impietosa: «Tornando indietro rifarebbe quest’opera?». Il governatore ha risposto da politico consumato: «Del passato non parlo. L’opera è avviata e il mio compito è completarla». Ma il suo pensiero è facilmente intuibile tra le righe: ha ereditato un guaio e sta facendo di tutto per uscirne. Come pure Lucini, che ha sorriso, è vero, ma senza troppa enfasi: «Questo è un passo in avanti importante, decisivo. Ma sono consapevole che abbiamo davanti ancora due anni di lavoro e un cantiere complicato». In più ci sono all’orizzonte un problematico accordo con Sacaim per i 32 mesi di fermo cantiere (la Regione, su questo punto, si è chiamata fuori: «E’ una questione che riguarda il Comune») e le incognite legate all’inchiesta della Corte dei Conti.

Quello di ieri è stato un giorno importante per Como, che vede finalmente la luce in fondo al tunnel. Ma non era il giorno giusto per le celebrazioni o per mettere il cappello sul nuovo lungolago. Il cantiere è ancora desolatamente fermo e, nella migliore delle ipotesi, i comaschi potranno riavere la loro passeggiata solo nel 2016. Esattamente un anno dopo la formidabile vetrina dell’Expo, che il capoluogo metterà nell’ormai ingombrante archivio delle occasioni perse. Adesso non è tempo di festeggiare. Si tratta di abbassare la testa e lavorare duro, senza perdere più nemmeno un giorno. Ora scatta finalmente il conto alla rovescia. Non sono più ammessi incidenti o ritardi. Non ci sono più scuse per nessuno.

La classica storia all’italiana ce la siamo regalata tutta. La telenovela ci ha accompagnato per tante stagioni: conosciamo per filo per segno tutti i personaggi (tanti) e le opere (poche). Abbiamo assistito impotenti a uno sperpero all’ordine del giorno in Italia (dove non c’è una sola opera pubblica che rispetti tempi e costi), ma che comunque non conosce uguali nella storia di Como. Ora chiediamo un finale inedito per questa brutta storia. Magari poco italiano, ma di buona politica.

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