Monumento e fontana
L’architetto torni artista

Nel lessico quotidiano oggi la parola “artista” è certamente abusata. Sono artisti i sarti, gli attori, i cantanti, i designer, lo sono persino i vivaisti, i tatuatori, i toelettatori dei cani, tutti artisti come i pittori e gli scultori, ma non gli architetti. Nessuno dà dell’artista a un architetto, anche perché, io credo, potrebbero aversene a male, loro preferiscono essere chiamati tecnici, costruttori, progettisti, non artisti. Eppure nei testi di storia dell’arte in uso fin dai licei, gli architetti non solo sono compagni di strada dei pittori e degli scultori, ma addirittura occupano quasi sempre i primi capitoli: prima l’architettura, poi la scultura e infine la pittura. Perché? Perché l’architettura, al contrario della pittura e della scultura, non è appesantita dalla figurazione, la gente che ci vive in mezzo, che la abita non si chiede che cosa rappresenti, non le attribuisce reconditi significati, semplicemente la usa, la fa sua.

Gli architetti devono tornare ad accettare di essere definiti “semplici artisti”, così potrebbero recuperare un po’ dell’orgoglio creativo che muoveva i loro predecessori (magari anche a costo di perdere in rispettabilità), lasciando alle Sovrintendenze le frasi come “impatto ambientale” o “contestualizzazione dell’architettura nel tessuto urbano” e riappropriandosi invece del diritto di impattare per quanto sembra loro giusto con gli stili e le misure preesistenti, e di quello di scegliere e di definire a priori la collocazione dell’opera progettata, perché è evidente che non si può separare il “dove” dal “cosa” senza del tutto vanificare l’opera intera.

La fontana di Camerlata sorge in mezzo al più intenso traffico urbano e di conseguenza il suo mantenimento è sempre più precario, ma spostarla vorrebbe dire ignorare il progetto di Cesare Cattaneo e di Mario Radice, impoverendola fino alla mummificazione; così continuiamo a restaurarla, perfino ricostruiamola del tutto, ma non cambiamole casa, ne soffrirebbero troppo lei e la memoria dei due artisti che l’hanno immaginata. E un po’ similmente possiamo dire anche dell’elettrico nuovo monumento di Libeskind. O l’accettiamo o lo rifiutiamo, ma del tutto, non a metà. È lui che l’ha voluto lì, è lui che su quel rondello della diga l’ha sognato e di conseguenza l’ha progettato.

Fra qualche anno, se non noi, i nostri figli si chiederanno cosa c’era prima sul terminale della diga, perché già adesso, dopo pochi giorni, è evidente che la diga era sguarnita e che oggi ha trovato una sua conclusione.

A mio parere non ci si dovrebbe chiedere: ”Perché proprio lì?” ma semmai invece “Perché nessuno ci aveva pensato prima?”

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