Nel calcio
e nella vita
buffoni
all’italiana

Quando all’ultimo minuto della tragicomica partita contro l’Uruguay, il telecronista Sky Fabio Caressa – reduce da un evidente passaggio in fiaschetteria - ha iniziato a urlare “Butta la palla e prega, butta la palla e prega!!” - eravamo tutti convinti di aver toccato veramente il fondo. Ma non era così.

Perché sul menù degli esercizi circensi si era già manifestato il feldmaresciallo Prandelli, straparlando di patria ed eroismo come il comandante Automatikos di “Vogliamo i colonnelli”, spassosissimo capolavoro di Monicelli, e sarebbe arrivato di lì a poco Malcom X Balotelli e la sua sociologia comparata sui “negri”, che loro sì che non tradiscono mai i fratelli di sangue. Senza dimenticare la filippica del prepensionando Buffon contro le nuove leve con i toni e le pose del classico molesto da bar che, al terzo giro di bianchi, inizia a lamentarsi dei giovani del giorno d’oggi che bevono, fumano e non votano più Forza Italia. Per concludere con l’apoteosi del ridicolo dell’addio di Gianluigi Abete, perché lui, caro lei, non è mica uno di quelli attaccati alla poltrona. Risate.

Tutto questo ci è toccato subire, a noi poveri italioti pallonari baffo nero e mandolino, tutto questo e ben altro ancora. Ma, evidentemente, non era ancora abbastanza. Si poteva scendere ancora più in basso, si poteva grufolare con inesausto accanimento nel truogolo degli avanzi, si poteva manifestare all’universo mondo una volta di più la nostra fibra morale da paese sottosviluppato. Dal giorno dell’eliminazione in poi – nascosta dai pianti, gli strepiti, le baracconate, le faide tra vecchi e giovani e le trombonate su adesso basta, è una vergogna, la gente è stanca, la gente è stufa, la gente non ne può più - ha iniziato a serpeggiare sui nostri favolosi mezzi d’informazione l’ermeneutica del “biscotto”. E cioè, l’allusione fanghigliosa, verdastra e carognesca al fatto che mentre noi eravamo stati vittime dei morsi del cannibale e della sudditanza psicologica dell’arbitro servo dei latinos, in altri gironi c’erano squadre che si sarebbero messe d’accordo per una partita pilotata che avrebbe fatto passare il turno a tutte e due. Nel gergo di noi scienziati dell’informazione - che la sappiamo lunga e, quindi, nessuno può permettersi di prenderci per fessi - il cosiddetto “biscotto”. Primi indiziati, Germania e Stati Uniti, che figurati se non organizzano un pareggino per arrivare senza danni agli ottavi di finale. Infami. Mascalzoni. Farabutti. E giù retroscena e ricostruzioni e Watergate e spifferi e dicerie e i due allenatori sono amiconi e, certo, sono crucchi entrambi e una volta uno era il vice dell’altro ed è uno schifo ed è una vergogna e poi se la tirano tanto da superpotenze e ci fanno la morale su questo e su quello e invece sono peggio di noi e quello là tirerà indietro la gamba e quell’altro lascerà i migliori in panchina e il portiere farà finta di uscire a vuoto perché il mondo del calcio, signora mia, è pieno di queste schifezze, chiedere a Brera, Arpino e Soriano, ed è ora di finirla e bla bla bla. E, infatti, la Germania ha dominato la partita dall’inizio alla fine, ha vinto con pieno merito permettendo così al suo allenatore di sbatterci in faccia tutta la sua onestà e la sua differenza e per finire in gloria - visto che il Dio del pallone esiste - anche i dignitosissimi Stati Uniti hanno passato il turno grazie a una differenza reti migliore di quella del Portogallo, arrogante e bolso quasi quanto noi. Fine della storia.

Chi ha sospetto ha difetto, diceva un tale. Chi parla male, pensa male e vive male, sbraitava invece il mitologico Michele Apicella, alter ego di Nanni Moretti in “Palombella Rossa”, dopo aver schiaffeggiato la giornalista ottusa e molesta. Chi immagina e millanta complotti, accordi sottobanco, larghe intese truffaldine lo fa perché quella cultura alberga dentro di sé, è la sua linfa, la sua benzina, il motore primo e il fine ultimo della sua esistenza e del suo orizzonte. E’ lo status, lo standing di quello che si butta in area di rigore, si lascia svenire in mezzo al campo dopo un contatto da niente, tende a fregare, a istigare, a sceneggiare, a dire che se vinci, hai vinto tu e se perdi, hanno perso loro. Uno proietta sul mondo la propria luce, vede negli altri quello che è lui senza immaginare che possa esistere tutto un altro universo, feroce e competitivo ma pulito, che vive e cresce mille miglia lontano dalle nostre schifezze e dalle nostre meschinità. Non tutti sono come noi, con i nostri giochetti e la nostra furbizia da quartieri spagnoli, che è poi la prerogativa degli stupidi.

Il calcio – e la vita - sa essere cosa ben diversa da quel paltone nauseabondo nel quale tutti quanti rimestiamo da sempre prigionieri dei nostri isterismi, dei nostri vittimismi e dei nostri complottismi. C’è anche chi vince (e perde) con merito e se ne assume le responsabilità, c’è chi vuole giocare con il massimo impegno anche le partite inutili e le amichevoli perché è così che si dimostra il rispetto nei confronti degli avversari. C’è anche chi non parcheggia in seconda fila, chi paga le tasse, chi non raccomanda il proprio figlio soffiando il posto a un altro che se lo merita di più, chi tace e lavora invece di piagnucolare e fanfaronare, chi non segue l’onda del regimetto pallonaro, e non solo, secondo il quale è sempre colpa di qualcun altro, perché se l’Italia fa pena è colpa nostra e non della Merkel.

Sarebbe bello. Sarebbe bello sentire almeno un tifoso della Juve – almeno uno su nove milioni – dire che una condanna in tutti i gradi del giudizio sportivo si rispetta senza straparlare di complotti e grandi fratelli e sarebbe bello sentire almeno un tifoso dell’Inter – almeno uno su sei milioni – dire che tutti i disastri combinati prima di Calciopoli erano figli di squadre ridicole e non di complotti e grandi fratelli. Sarebbe bello. Ma così non sarà mai. Perché che sia Inter, Juve, Nazionale, governo o quello che volete voi, questo è ciò che siamo, ciò che vogliamo.

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