Nessuno pensa
all’uomo in coda

C’è un fastidioso filo rosso – neppure tanto sottile, a ben pensarci – che unisce le auto dei frontalieri in coda da Lugano a Porlezza con quelle bloccate sull’Oltrecolle in entrata a Como. Perché queste vicende, accadute per uno scherzo del destino nella stessa giornata a decine di chilometri di distanza, non sono soltanto il risultato di un’emergenza (il camion rovesciato in entrata a Como) e di una cattiva programmazione di banali lavori di asfaltatura (in alto lago).

No, fuor di populismo da quattro soldi, rappresentano il segno più evidente del decadimento della politica. Intesa nella più alta accezione del termine e che nulla ha in comune, meglio specificarlo, con i bizantinismi del partitismo o dell’ideologia da supermercato dell’ovvio.

Intendiamoci, nessuno avrebbe potuto prevedere che un autotreno finisse per trascinare il suo pesante carico sull’asfalto di una strada tortuosa già di suo e a rischio blocco a ogni piè sospinto. Ma quanto è accaduto dopo deve far riflettere: migliaia di automezzi sono rimasti bloccati in coda e altrettanti si sono aggiunti con il passare delle ore. Quando era apparso chiaro a tutti che le operazioni di rimozione del mezzo sarebbero andate per le lunghe.

Le testimonianze piovute copiosamente al nostro giornale – e quelle che si possono rintracciare in rete – raccontano di un esercito di persone rimasto in balia del nulla. E non ci riferiamo ovviamente ai siti internet degli organi di stampa che, a partire dal nostro, hanno riferito costantemente della situazione. Quanto dell’imbarazzante silenzio di chi, per mestiere o spirito civico, avrebbe dovuto far scattare una parvenza di “piano di emergenza”, per dirla con il linguaggio dei tecnici. Con tanto di pattuglie di vigili a chilometri di distanza per informare i malcapitati del pomeriggio difficile che li attendeva, di percorsi alternativi segnalati con evidenza, di cartelli e informazioni disposti a profusione in ogni angolo di questa città che la natura ha voluto prigioniera della sua bellezza.

Invece, navigando per ingannare il tempo, si incontra soltanto lo sconcerto, il rimbalzare impazzito delle domande, le contumelie sul governo ladro e tanta, tantissima disperata rassegnazione.

La stessa cosa è accaduta a Porlezza. Con l’aggravante che quei lavori di asfaltatura erano programmati da tempo ma che nessuno, né chi li ha ordinati né chi li ha eseguiti, ha pensato di rispettare il diritto dei frontalieri di tornare a casa in tempi ragionevoli.

Non bisogna essere ingegneri edili o illuminati statistici del ministro delle infrastrutture o, ancora, tecnici dell’Anas per ordinare agli operai impegnati nei lavori di asfaltatura di concludere la giornata alle 16, un’oretta prima che il popolo dei frontalieri si rimetta in moto. Era davvero così difficile evitare la rabbia più o meno repressa degli automobilisti?

La sensazione è che il cittadino – in questo caso utente della strada – sia considerato alla stregua di un effetto collaterale, per il quale non vale neppure troppo la pena di preoccuparsi. Una sensazione di abbandono – ecco, forse è il termine giusto – che fa a pugni con quanto invece lo Stato pretende in cambio. A partire da una tassazione degna di certe gabelle medioevali fino ai 60 centesimi 60 per percorrere 4 chilometri di una tangenziale che finirà nel nulla dell’Oltrecolle (per l’appunto).

Difficile dire perché la politica non si occupi più delle questioni dell’uomo della strada – e daje – dedicando troppo del suo tempo a questioni che nulla hanno a che vedere con il vivere quotidiano. Questi sono argomenti da sociologi, persone con gli “studi alti” ai quali si arriccerebbe il naso anche soltanto a sentir parlare della rabbia in corpo di un pomeriggio in coda.

Ma non c’è nulla di peggio dell’accorgersi che, quando si spengono i talk show della notte, il cittadino adulato, blandito e corteggiato come una Cenerentola diventa improvvisamente un orfanello, un suddito senza diritti. Ma, soprattutto, senza neppure la speranza di una fata che venga a liberarlo dall’incantesimo.

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