Palazzo Terragni
Il museo e le boutade

Una barzelletta lunga vent’anni può bastare: ora si può fare sul serio. Incombevano le elezioni amministrative del 1997, quando Valter Veltroni, venuto a Como per sostenere un Terragni, Emilio, nella corsa a sindaco della città, spese la sua parola per un altro Terragni (Giuseppe), affermando in una pizza San Fedele gremita: «Domani parlo con Visco (allora ministro delle Finanze, ndr) e gli chiederò il via libera per il trasferimento della Guardia di finanza: in breve tempo palazzo Terragni diventerà un museo del Razionalismo». Questo precedente, e tutti i sassi lanciati e le mani ritratte nei vent’anni seguenti (indimenticabile l’inserimento e la successiva cancellazione di Palazzo Terragni dal dossier per Como capitale della cultura nel 2015), dovrebbero essere un discreto deterrente per qualsiasi politico lanciato in future dichiarazioni elettorali... nonché, direte voi, anche per qualsiasi giornalista cui mai venisse in mente di dedicare al tema l’ennesimo editoriale.

Invece, è proprio questo il momento di tornare a scriverne, perché la petizione lanciata dall’associazione Made in Maarc per «recuperare a Como l’ex Casa del Fascio di Giuseppe Terragni ad un uso culturale e civile» avrà successo solo se chi l’ha lanciata sarà sostenuto da tutte le persone che hanno a cuore la cultura e il futuro di questa città, fino al punto in cui nessuna amministrazione e nessun governo potrà più accampare scuse, spesso anch’esse da barzelletta. Come quelle secondo cui la Guardia di Finanza non sarebbe disposta a lasciare il palazzo oppure, come dice qualcuno, se andasse via sarebbe una sciagura, perché non verrebbe garantita più nemmeno la manutenzione. Difficile immaginare i finanzieri così attaccati al cadreghino (per quanto d’autore, visto che Terragni progettò personalmente le sedute della Casa del Fascio e alcune le battezzò pure: la sedia Lariana e la poltrona Benita) e anche il ministero dei Beni culturali così disattento rispetto a quello delle Finanze (un esempio di cosa può succedere a un edificio storico quando diventa museo gestito dal Mibact lo abbiamo a Tremezzo ed è stupendo: fate un giro a Villa Carlotta che riapre proprio oggi).

«La Casa del Fascio è di tutti e deve tornare ad essere di tutti: una piazza coperta della comunità. Del mondo, anzi», afferma in calce alla petizione l’architetto/scrittore Gianni Biondillo. Già, ricordiamoci che il mondo ci guarda, come confermano i tanti stranieri tra i 1500 firmatari, e che non possiamo giocare al solito scaricabarile tra destra e sinistra, perché non è dalla giunta Lucini, né Bruni, né Botta e neppure Spallino che l’ex Casa del fascio è caserma delle Fiamme gialle, bensì dal 1957. Abbastanza perché uno dei più grandi sostenitori di Terragni e di Como nel mondo, Peter Eisenman, architetto e teorico dell’architettura oggi nel comitato scientifico di Maarc, non l’abbia mai potuta vedere con un’altra funzione: «Venni in Italia nell’estate del 1961. Andai a Como, e davanti alla Casa del Fascio di Terragni, emblema del razionalismo, ebbi un’epifania - disse due anni fa in un’intervista a “Repubblica” -. Rimasi stordito, un’architettura così non l’avevo mai vista».

Purtroppo non l’hanno mai vista, in senso letterale per quanto riguarda gli interni geometricamente poetici, molti comaschi, e anche tantissimi studiosi e appassionati che, da tutto il mondo, vengono sul Lario attratti dal suo essere culla del razionalismo europeo. Troppo poche le occasioni di apertura di un luogo militare per definizione invalicabile. Al costo di essere tacciati di esterofilia, oggi sogniamo che l’ex Casa del fascio possa diventare come la Pedrera di Gaudì a Barcellona, museo di se stessa e (in quel caso) del Modernismo, e che a breve capiti anche a noi un Mitterand, capace di impuntarsi e far spostare dal Louvre il ministero delle Finanze, per destinare gli spazi alla cultura e all’accoglienza di chi, e sono milioni nel mondo, per fruire della bellezza è disposto a macinare chilometri e a investire denaro.

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