Partecipate, chi non vuole
le fedine penali pulite?

Affidereste i conti della vostra azienda a un tizio condannato a cinque anni per associazione a delinquere? Magari sì, se siete garantisti. Però pretendereste almeno di saperlo prima. E se invece il tizio si guardasse bene di avvisare? E se lo stesso personaggio fosse accusato di non saldare i debiti con il Fisco, di falso in bilancio, di bancarotta? Se avete risposto sì a tutte le domande, siete pronti per fare il sindaco di Como. Anzi no, per dimostrare doti da talent scout non inferiori o almeno uguali, dovreste anche riservare una poltrona del cda a un pregiudicato in via definitiva e premiare con il raddoppio di incarichi, e relative indennità, un fiscalista ingaggiato da innocente che si sta facendo strada con il suo primo carico pendente per bancarotta.

Sembra tutto così paradossale che quasi verrebbe da credere a Mario Landriscina quando nell’aula del consiglio comunale evoca il complotto. Possibile che fra mille e più commercialisti comaschi - con Pennestrì che per giunta si era cancellato da solo dall’albo - il sindaco abbia estratto dal mazzo proprio questi tre? Di tutto si può dire di Landriscina, e in effetti molto è stato scritto in questi due anni, tranne che insinuare dubbi sull’onestà personale. E allora perché giocarsi la reputazione con tre nomine del genere?

La risposta se l’è data da solo, con la sua timida e impacciata difesa in Consiglio comunale. Di fronte a una figuraccia urbi et orbi di queste proporzioni, ci saremmo aspettati un discorso da pugni e scarpe sul tavolo, una bella resa dei conti con chi gli ha suggerito nomine così brillanti. Non fosse altro perché a metterci la faccia non sono stati gli amici degli amici, ma proprio lui, il sindaco in persona. Avrebbe potuto chiuderla con due parole: ora basta. Ora facciamo come si fa nelle città civili, che impongono di esibire i carichi pendenti e non accettano imputati, condannati e pregiudicati. Invece no. Ha annunciato la «disponibilità della giunta - bontà loro - a modificare le procedure selettive volte alla designazione o alla nomina dei rappresentanti comunali mediante la revisione degli indirizzi approvati dal consiglio comunale». Come chiedere all’oste di smetterla di servire vino avariato invece di mandargli l’annonaria. Insomma non ha preteso nulla, si può andare avanti così, impermeabili a indignazione e sberleffi.

Evidentemente questo sindaco non ha la forza per pretendere dai partiti che lo sostengono di smetterla di suggerire nomi positivi al casellario. È un problema serio per il suo futuro e per quello della città. Nelle società partecipate, dove si gestiscono centinaia di milioni di soldi pubblici o parapubblici, dove si fanno centinaia di assunzioni senza grandi formalità, dove si disegna l’ossatura e l’efficienza di una città, la scelta di amministratori al di sopra di ogni sospetto giudiziario dovrebbe essere il prerequisito, il minimo sindacale.

Qualche anno fa il Governo Monti ha preteso che a rivedere i conti degli enti locali non fossero più commercialisti lottizzati, ma estratti a sorte. Presi dal mazzo, come si diceva prima, sembrano garantire meno infortuni di quelli indicati dalla “selezione” di cui ha parlato Landriscina in Consiglio. Per le società partecipate la vecchia procedura “fiduciaria”, invece, resiste. Domandiamoci il perché.

E domandiamoci anche perché, oggi a Como, dopo tutto quello che sta succedendo, a differenza delle città vicine, il casellario giudiziario intonso resta un optional.

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