Quei soldi sono nostri
La politica si muova

Non un milione di euro, non due, non tre. Non cinque. Nemmeno dieci. Ma qualcosa come 18 milioni di euro in contanti. Pronti per essere spesi per finanziare progetti per il dissesto idrogeologico, per la riqualificazione ambientale e per la creazione di aree verdi. Ma restano, chiusi a chiave, nella cassaforte dell’amministrazione provinciale. E con rischio che, a tre anni dallo stanziamento, la Regione può chiederne la restituzione e destinarli ad altre zone della Lombardia.

In questa vicenda si annida tutta la burocrazia italiana con i suoi paradossi, l’incapacità del Governo e del Parlamento di risolvere un problema che non ha colore politico perché i Comuni e le amministrazioni provinciali (che dovranno sparire è vero, ma intanto ci sono tanti presidenti ancora in carica e tante altre che, invece, sono state commissariate) sono guidate da esponenti di destra e di sinistra.

La storia dei 18 milioni congelati è anche la storia della miopia di uno Stato che, ridotto in pezzi, non consente nemmeno di utilizzare le liquidità reali che hanno gli Enti locali. Non serve essere un pezzo da novanta dell’economia per capire che iniettare su un territorio un capitale di tale portata non può che essere un volano per il mercato e per le attività della zona. Qualunque intervento, infatti, necessita di manodopera (di imprese, ma anche di cooperative). E dietro alle imprese e alle cooperative, ci stanno le persone. Ci stanno le famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese. Non è retorica, questa. È la fotografia di norme tentacolari e perverse che, anziché aiutare i cittadini, li mettono ancora più in ginocchio. E’ il paradosso di leggi inapplicabili e demenziali, ma lo è anche della mancanza di volontà di chi ci rappresenta. Il non fare differenze di colore politico non è qualunquismo, ma verità. In tanti a partire da parlamentari, presidenti di commissioni, ministri si riempiono la bocca da anni citando il patto di stabilità come uno dei primi punti da affrontare. Il risultato prodotto sta nei 18 milioni di euro congelati. E se alla cifra si sommano i milioni bloccati nei Comuni del Comasco, senza contare le cifre record a cui si arriverebbe conteggiando tutta Italia, ce n’è abbastanza per arrabbiarsi. Milioni e milioni di euro di capitali inutilizzati in un periodo in cui i consumi sono ai minimi storici, le imprese sono al collasso, la disoccupazione aumenta ogni giorno come pure chi riceve una lettera di licenziamento. Di contro trincerarsi dietro a giustificazioni, seppur corrette, come “è il patto di stabilità” non è accettabile. I presidenti di provincia, di regione e i sindaci indossino le loro fasce di rappresentanza e vadano a Roma e restino fuori dal Parlamento finché non viene risolto il problema. Bussino a Renzi, Berlusconi, Grillo e inizino, ciascuno, a stremare il proprio parlamentare di riferimento perché una situazione simile non è accettabile.

Oppure alzino la voce e si accordino tutti (quelli che hanno i soldi in cassa e non chi è in dissesto o a rischio default) per non rispettare il patto di stabilità. Facciano qualcosa, insomma. Subito e che sia concreto. Perché il ritornello “non ci sono i soldi” inizia ad essere un non senso, se in cassa ci sono milioni di euro immobilizzati. Nel Paese delle deroghe, si trovi una deroga in nome del buon senso. In nome delle imprese, dell’economia e delle famiglie.

E la Provincia di Como inizi a battersi per quei 18 milioni cristallizzati e che tanto bene potrebbero fare al suo territorio. Quante lettere sono state scritte a Milano o a Roma dal commissario provinciale Leonardo Carioni su questo tema? La risposta giusta, per la dignità di migliaia di famiglie e altrettante aziende, sarebbe almeno una al giorno. Da almeno tre anni.

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