Quel frigo emblema
dei tempi pubblici

La storia che Gisella Roncoroni racconta a pagina 12 sembra la dimostrazione matematica della teoria della Relatività applicata alla pubblica amministrazione. Dove un problema che chiunque risolverebbe in pochi minuti, nelle mani di un ente pubblico rischia di trasformarsi in un’odissea senza pari.

Il caso in questione, già più volte denunciato sia dalle colonne di questo giornale che nel corso del consiglio comunale di Como, è noto: nel novembre 2013, all’atto di abbandonare il ristorante di Villa Olmo, l’allora gestione lasciò – oltre a un debito, sostiene il Comune, di decine di
migliaia di euro – anche un frigorifero e una griglia da cucina, abbandonati all’esterno di uno dei più suggestivi e turistici angoli della città. Se la stessa cosa fosse accaduta nel giardino di casa nostra, tempo poche ore o al massimo pochi giorni e i rifiuti sarebbero spariti in qualche discarica. Invece a Villa Olmo ci sono voluti 15 mesi prima che, finalmente, venissero tolti per sempre dalla vista di comaschi e turisti.

L’ottimista commenterebbe: meglio tardi che mai e comunque in tempo per il via della stagione estiva e dell’Expo. Il pessimista ribatterebbe: non c’è speranza, siamo sempre i soliti italiani, di questo passo non ci salveremo mai. Il realista sintetizzerebbe: bene così, ma un piccolo esamino di coscienza…

Proprio ieri l’assessore Luigi Cavadini denunciava come la burocrazia renda impossibile rispettare i tempi e le scadenze che la stessa amministrazione si dà e che le procedure impediscono al Comune di muoversi con agilità. Una denuncia che suona sincera e fin troppo vera, ma che nel caso di Villa Olmo vale ma solo fino a un certo punto. Attorno alla storica dimora neoclassica, infatti, lo stesso Comune di Como ha realizzato un progetto di ristrutturazione e sistemazione che ha avuto la forza di sbaragliare tutti i rivali, quando è stato il momento di attingere ai fondi della Fondazione Cariplo. Non parliamo, quindi, di una zona dimenticata, abbandonata a se stessa, di scarso pregio e interesse, ma di un luogo prezioso per la città nonché teatro di numerosi sopralluoghi e di attenzioni. Perché, allora, ci sono voluti 15 mesi per spostare quei rifiuti? L’assessore Marcello Iantorno spiega che c’è stato un intreccio di settori coinvolti, il patrimonio, l’ambiente, il verde, la cultura, l’economato e come sempre accade in casi analoghi tutto questo movimento si è tradotto paradossalmente - ma neppure troppo - in un immobilismo totale. E disarmante. Uno spettacolo che, però, ci è purtroppo noto: per trovare 50mila euro per aggiustare il battello spazzino, un mezzo indispensabile per pulire il bene turistico più prezioso che abbiamo, il nostro lago, ci sono voluti più di cinque mesi; per intervenire a sistemare il Tempio Voltiano, teatro del crollo di parte dell’intonaco, non ne sono bastati nove di mesi. Ed è meglio non dire nulla sullo scempio paratie e sullo scandalo Ticosa, che in quanto a tempi omerici hanno solo da insegnare.

In questa Italia travolta dagli scandali, dove ogni grande opera è l’occasione perfetta per gonfiare spese, pagare mazzette, avvantaggiare un amico, arricchire un parente e derubare gli enti pubblici il rispetto delle regole imposte dalla burocrazia è purtroppo questione di sopravvivenza. E certi tempi sono - purtroppo - inevitabili fino a quando la cultura della legalità non diventerà un valore condiviso. Ma forse proprio per questo, almeno nelle piccole cose, è lecito sperare in un ritmo differente. Senza che anche la rimozione di un frigorifero si trasformi in un’impresa titanica.

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