Re giorgio abdica
Ci ha salvati dal baratro

Se il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, da qualunque parti lo si guardi, si è concluso con un fallimento tout court che ci conferma il ruolo di vaso di coccio triturato d a quelli di teutonico ferro, diverso e più articolato deve essere il giudizio sulla fine del “novennato” del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Un novennato particolare. Qualcosa che entra di diritto nella storia repubblicana. Nessun presidente della Repubblica, prima di lui, era stato rieletto ed era rimasto in carica così a lungo. E se non fosse per l’età ormai avanzata (Napolitano festeggerà i 90 anni il prossimo 29 giugno), con ogni probabilità ,all’ex leader della corrente migliorista del Pci sarebbe stato chiesto di rimanere ancora per un po’, se non altro per levare dal fuoco di Renzi almeno la castagna della scelta di un nuovo presidente della Repubblica.

L’operato di Giorgio Napolitano ha diviso. Le sue scelte sono sempre state lette dai politici e dagli osservatori a seconda delle convenienze o scovenienze che determinavano. Quel che è singolare è come non sia stata ancora assimilata la metamorfosi del ruolo del presidente della Repubblica, che molti vorrebbero ancora silente e un po’ sonnolenta vestale notarile della Costituzione. Certo, fa comodo ritrovarsi al Quirinale un personaggio che non disturba i manovratori.

Ma questo forzato cambiamento del modo di porsi della carica più alta dello Stato nei confronti del Parlamento e del mondo politico più in generale, è insito nella stessa legge suprema. Coloro che l’hanno redatta con una lungimiranza quasi miracolosa se si pensa che la Costituzione è entrata in vigore 66 anni fa, hanno infatti architettato un sistema perfetto per garantire un costante funzionamento delle istituzioni non dissimile a quello che consente a un edificio di non restare mai senza corrente elettrica perché in caso di blackout dell’impianto principale entra automaticamente in funzione un generatore. Nella Repubblica progettata dai padri costituenti, il Parlamento (la Repubblica infatti si chiama parlamentare) è l’impianto elettrico principale, il capo dello Stato il generatore supplementare. Pensate a quante volte, negli ultimi venticinque-trent’anni, il Parlamento, basato sul sistema dei partiti, è andato in tilt, ed è dovuto intervenire il generatore quirinializio. Di solito si attribuisce l’avvio delle “esternazioni” presidenziali (cioè l’accensione del generatore) a Francesco Cossiga. In realtà il primo a rodare l’impianto, era stato Sandro Pertini. La sua veemente accusa al governo per i ritardi nei soccorsi dopo il terremoto in Irpinia, lanciata in favore di quelle telecamere che erano una debolezza del vecchio partigiano, è stato il primo segnale del cambio di pelle dell’inquilino del Quirinale. I successori di Pertini, da Cossiga a Oscar Luigi Scalfaro a Carlo Azeglio Ciampi e fino a Napolitano non hanno fatto altro che continuare, ciascuno con il suo stile e la propria cultura politica ,a svolgere quell ruolo di generatore istituzionale.

“Re” Giorgio, come lo chiama qualcuno per la durata del mandato e anche per la somiglianza con l’ultimo sovrano d’Italia, Umberto II, il cui regno però visse solo un mese, è stato un generatore ad alto potenziale perché durante la sua presenza sul Colle, la politica e il Parlamento hanno vissuto parecchi momenti di difficoltà ed afasia, acuiti dalla pesante crisi economica. Napolitano ha interpretato il ruolo, forte della sua esperienza e con quel rispetto per le istituzioni che maturato nel la lunga militanza nel Pci, che avrà avuto tanti difetti, ma su questo bisogna lasciarlo stare, specie per ciò che attiene alla corrente migliorista o riformista, di cui il futuro capo dello Stato era uno dei principali esponenti se non il più importante dopo la scomparsa dell’altro Giorgio, Amendola.

Napolitano ha affrontato e superato tutte le avversità con il passo culturale prima ancora che politico del riformista. Quello non guarda il dito ma la luna e se deve conquistarla fa in modo che il traguardo sia raggiunto senza cadere nelle facili scorciatoie della demagogia parolaia. Il capo dello Stato ha parlato, ha dovuto parlare tanto, ma mai troppo e mai a vanvera. E proprio per queste sue caratteristiche è rimasto l’unica istituzione considerata credibile dall’Europa nel momento più critico della crisi economica, quando l’Italia correva vicino al baratro del default. E questo è un fatto che prescinde da ogni giudizio sull’operato del capo dello Stato che, anche quando si è trattato di intervenire per fermare la corsa del paese verso la catastrofe, ha agito con l’afflato del riformista, mettendo con pazienza tutte le caselle al posto giusto: la nomina di Mario Monti senatore a vita è stata solo la penultima. Superato, con buona pace di quelli con il complotto sempre innestato, quel passaggio da scalata alpinistica di decimo grado, il resto deve essere apparso a Napolitano come una passeggiata di salute. Lui peraltro non ha cambiato passo, così come ha fatto per tutto il suo novennato che anche per questo resterà un unicum nell’epopea repubblicana. Re“Giorgio” abdica, viva il Re.

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