Renzi e il nodo
alleanze per il Pd

Enrico Letta e Laura Boldrini accusano di «barbarie» il Movimento 5 Stelle per il suo comportamento in rete e nelle aule parlamentari e dunque, implicitamente, chiudono la pagina di un possibile dialogo con Beppe Grillo.

L’interrogativo politico è se ciò rappresenti un problema politico per il leader genovese, come sostiene Matteo Renzi che lo giudica per la prima volta in difficoltà, o se viceversa costituisca un’opportunità dal momento che i 5 stelle da giorni monopolizzano la scena accusando tutti gli altri di difendere un «fantoccio di democrazia» I sondaggi per il momento sono controversi: tuttavia non si può dimenticare come il successo elettorale del M5S non fosse stato previsto alle ultime politiche nelle sue dimensioni. Ora, Grillo ha più volte ripetuto di puntare sulle prossime europee quale ribalta ideale per imporre le sue idee. Il motivo è semplice: si voterà con il proporzionale e una parte dell’ opinione pubblica potrebbe approfittarne per sperimentare una sorta di voto in libera uscita a sfondo euroscettico. È ciò su cui conta il tandem Grillo-Casaleggio per invertire le polarità: partire dall’Europa, e da alleanze con gli altri movimenti populisti, per lanciare in Italia la campagna della resistenza alla cosiddetta «eurocrazia» e al fiscal compact.

Ciò spiega perché Renzi spinga adesso per un accordo di programma forte e innovativo (base il Jobs Act) da mettere a punto nella direzione del 6 febbraio e da discutere poi con il premier: come dice il sindaco rottamatore, i voti si conquistano con i programmi, non con i leader. In altri termini, non bastano vaghi annunci sulla crisi ormai superata di cui i cittadini non si accorgono (come sottolineano con significativa convergenza Squinzi e Vendola), ma occorrono impegni concreti per la crescita. Il leader del Pd sa che il voto europeo di maggio rappresenterà un primo test per la sua segreteria e intende affrontarlo con qualcosa in tasca perché si tratterà di una partita a tre per la supremazia: Pd, Forza Italia e M5S.

Gianni Cuperlo lo appoggia apertamente nel tentativo di dare un profilo nuovo ai democratici: lavorerà per dare vita a una sinistra che sappia incarnare il nuovo, sulla scia indicata dal suo ex avversario, ma avverte che le riforme vanno approvate comunque per dare un segnale di discontinuità con il passato.

In questa ottica, la riforma elettorale nata dal patto Renzi-Berlusconi continua ad alimentare dubbi nel Pd. Il passaggio di Pier Ferdinando Casini nel centrodestra conferma le capacità di aggregatore del Cavaliere e fa temere che una coalizione raccolta attorno a Forza Italia possa sfondare il tetto del 37 per cento e dunque ottenere alle politiche il premio di maggioranza. Renzi minimizza («n on basta uno starnuto di Casini per farci paura» , però è vero che la rinnovata «v ocazione maggioritaria» del Pd, dopo il fallimento veltroniano, deve ancora dimostrare le stesse capacità di coagulo del centrodestra. Il segretario democratico per sua naturale inclinazione punta innanzitutto ad assorbire l’anima montiana di Scelta civica e quella parte dei centristi che non si riconosce nelle scelte di Casini (vedi Olivero e Dellai) ma è chiaro che prima o poi dovrà trattare anche con Nichi Vendola.

Il peso di Sel potrebbe rivelarsi decisivo ma il rischio è il replay dell’esperienza dell’Ulivo e dell’Unione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA