Riaprire gli occhi
sul bello di Como

Non ti devi stupire - dice l’amico americano - È sempre così. Si apprezzano le case degli altri, le montagne, i laghi, le spiagge degli altri, mentre è molto più raro apprezzare i propri. È assurdo, lo so. E lo è a maggior ragione nel vostro caso, intendo di voi comaschi. Che vi rovinate lo stomaco per quattro case in più a Garzola, per quel vostro vecchio rudere in tangenziale e per qualcun’altra delle vostre tante stupidaggini. Davvero. A volte date l’impressione di non avere gli occhi per guardare... Como è bella, e se lo dico dovete credermi».

La lezioncina a stelle e strisce sull’erba del vicino - peraltro non recentissima - fa capolino da un cantone della memoria in ogni circostanza in cui, come oggi, il giornale e la cronaca raccontino del tentativo di ripulire un pezzo di città.

Questa volta La Provincia vi racconta dei restauri in corso a Villa Olmo - all’interno di un cantiere in cui il Comune ha organizzato un sopralluogo a uso e consumo di fotografi e cronisti -, della munificenza della “solita” Fondazione Cariplo - senza la quale non si sarebbe fatto nulla - e della volontà di completare almeno una parte dei lavori entro il mese di maggio ed entro l’inaugurazione di Expo.

Quanto sia importante che tutto sia in ordine per quella data - al netto degli interventi che non potranno essere completati, e di cui si è già detto in più occasioni - lo suggerisce il rimbrotto dell’amico americano, bravo, una volta di più, a ricordarci quale ruolo il turismo debba e possa avere per l’economia del nostro territorio, anche a prescindere da Expo, e a maggior ragione in anni in cui vacillano i bastioni sui quali la nostra economia è cresciuta dal Dopoguerra in poi, regalando benessere un po’ a tutti.

L’abbiamo capito? A sentire lui non troppo, e forse ha ragione, forse, davvero, non abbiamo gli occhi per vedere.

D’altra parte - e a pensarci è davvero paradossale - di “città turistica” si iniziò a parlare soltanto attorno al 1998, dopo una prima “crisetta” economica di poco successiva alle vacche grasse degli inutili anni Ottanta, una crisetta che per la prima volta fece timidamente vacillare qualche certezza. Eravamo già in ritardo di cent’anni, forse anche di più. Non c’eravamo accorti di Goethe («e meravigliosa intorno è la natura che mi tiene al suo seno»), non ci eravamo accorti delle torme di inglesi che, mentre noi facevamo la guerra agli austriaci, già svernavano a centinaia tra Cernobbio e Bellagio; non c’eravamo accorti che mentre fumavano le ciminiere della Ticosa e il “grano” del tessile gonfiava pance e conti correnti, il mondo, incantato, parlava di noi. Non ce n’eravamo accorti un po’ come oggi stentiamo ad accorgerci che, a sentire l’Huffington post, il nostro sarebbe il lago più bello del mondo, o come stentiamo ad accorgerci di Villa Olmo e dei suoi stucchi. E allora? E allora proviamo a ricordarlo a noi stessi. Siamo belli, spendibili. E soprattutto sul turismo possiamo ancora costruire un’economia nuova, che non si ponga limiti e che non si confronti soltanto con grandi eventi e manifestazioni di stagione. Serve un po’ di spirito romagnolo,quello che ha consentito, giù, sulla riviera adriatica (tutt’altra forma di turismo, è evidente) di costruire con quattro spiagge un sistema che dà lavoro a decine di migliaia di persone e che in questi anni ha permesso a un territorio semi dimenticato di decollare anche senza Goethe e senza Villa Olmo. Siamo in ritardo di due secoli. Ma forse ancora in tempo.

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