Riaprire il Politeama
Ecco come si è già fatto

C’era una volta un teatro, il Politeama, che era chiuso da quasi dieci anni e rischiava di diventare un autosilo (o una moschea, dicevano alcuni), finché un giorno un gruppo di cittadini decise che non doveva finire così. Non perché avessero qualcosa contro i musulmani (contro le automobili dappertutto, magari, sì), ma perché credevano che una città non potesse perdere in questo modo un gioiello che all’inizio del Novecento aveva fatto parlare di sé per la grandezza e, soprattutto, per l’avveniristico tetto apribile. E che nel corso del secolo aveva ospitato personaggi come Macario e Rascel, Dapporto e Chiari. Stanchi di demandare tutto alla politica, che non sempre ci rappresenta come vorremmo, quel giorno l’autoproclamato comitato “Pro Politeama” trovò il coraggio per fare il grande passo: costituirsi in Spa e mettere in vendita un milione di azioni a un euro l’una, per vedere davvero a quanti concittadini stesse a cuore quello che a parole tutti definivano un “patrimonio irrinunciabile”. Ebbene, un milione di azioni venne “polverizzato” nel giro di pochi giorni. Una risposta cui i politici, da tempo più avvezzi a commissionare sondaggi e a seguire quello che si presume pensi l’opinione pubblica, piuttosto che a proporre idee proprie, non poterono rimanere indifferenti. Così anche gli enti locali e la Regione si convinsero a fare la propria parte: sul piatto furono messi poco meno di 3 milioni, necessari per l’acquisto dell’immobile, e altrettanti per il restauro. Cinque anni dopo, al taglio del nastro, risuonarono le note della “Tosca” di Giacomo Puccini, le stesse della prima storica inaugurazione, e in platea serpeggiava una commozione persino superiore a quella descritta dai cronisti dell’epoca. Per forza, questa volta il pubblico era, in gran parte, anche l’impresario.

Non è un sogno, quello raccontato fin qui, ma la pura verità, a parte i 3 milioni, che in realtà erano miliardi di lire, perché i cinque anni in cui è avvenuta la miracolosa rinascita del Politeama sono stati quelli tra il 1994 e il ’99. Se, passando da piazzale Cacciatori delle Alpi, vi sembra che non sia accaduto nulla di tutto ciò, è solo perché non ho ancora precisato che la città protagonista di questa sfida collettiva vinta, nel nome della cultura, dell’identità e della memoria, non è (ancora) Como, bensì Prato. Potremmo riuscirci anche noi? Forse sì: tanti segni di rinascita culturale si manifestano da più parti, con una costante crescita, negli ultimi anni, di idee, energie e proposte. E’ vero che un “grande teatro”, quello che mancava ai pratesi, sul Lario lo abbiamo già, il Sociale, ma lo è anche il fatto che un’esigenza di spazi adeguati è continuamente manifestata, e non sempre soddisfatta, da parte di associazioni, gruppi e anche di alcuni dei principali festival culturali cittadini, costretti nel tempo ad errare da una sede all’altra (ParoLario passata da piazza Cavour a Villa Olmo, quindi a Villa Gallia e di nuovo all’Olmo; Europa in versi che alla settima edizione lascia il Grumello per la Gallia; il Lake Como Film Festival in procinto di lasciare l’arena del Sociale, troppo onerosa, per girare nelle piazze, cedendo il passo proprio alle automobili che stanno tornando ad abitare per la stragrande maggioranza dell’anno il “lato b” della massima sala cittadina, anche dopo il “lifting” milionario).

Se non ci riusciremo noi, a riscattare il Politeama e la sua storia, un’altra vocazione che Como sta riscoprendo, quella ad essere “porta d’Europa”, città capace di attrarre turisti e investitori, potrebbe venirci in soccorso: cerchiamo, allora, di giocarci bene l’accoglienza e di non far scappare il gruppo russo che si è fatto avanti nei giorni scorsi, come abbiamo fatto con James Bond, che dopo aver concluso sul Lario “Casino Royale” (2006), prima si è spostato sul Garda (per girare l’inizio del film successivo “Quantum of Solace”) e poi ha portato i motoscafi Riva e gli sfondi digitali del lago di Como in Croazia per lo spot Heineken, piuttosto che avere a che fare ancora con la burocrazia comasca (e, in ultimo, anche italiana).

Speriamo, chiunque sarà l’acquirente/gestore, che un giorno, passando in pizza Cacciatori delle Alpi, si riveda il cantiere in fase di smobilitazione davanti alla facciata ultracentenaria, e lo striscione con la scritta “Nuovo teatro Politeama. La città torna in scena”. Quelli allestiti, in questo caso sì per finta e solo per poche ore, da Paolo Virzì nel 2013 per girare le famose sequenze “Il capitale umano”. Non è vero, come dice Valeria Bruni Tedeschi nel film, che «non c’è un teatro aperto in tutta la provincia», ma riaprire questo significherebbe aver trovato una strada per connettere passato e futuro della Como che ambisce ad essere capitale, prima ancora che della cultura, della bellezza. E, una raccomandazione agli investitori, siano essi russi, o, non si sa mai cosa possa accadere in futuro, cinesi: alla prima Puccini, non la “Tosca”, però, che con quella fu inaugurato il Politeama Pratese. Il fratello maggiore (è più vecchio di 15 anni) comasco aprì il sipario la sera del 14 settembre 1910 con “La Bohème”.

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