Se lo Stato si mette
a fare il furbetto

Si torna a discutere di Tutor e di sistemi di controllo elettronico della velocità, al centro di un ennesimo caso sollevato da un giovane automobilista comasco che lo scorso anno, a primavera, fu “stramultato” sulla strada per Bizzarone, paese di residenza della fidanzata.

La portava a casa ogni sera e siccome non aveva letto il giornale (il che non è un reato) non sapeva dell’attivazione del nuovo dispositivo, la cui presenza era peraltro piuttosto mal segnalata. Rimediò una quarantina di contravvenzioni, che gli furono notificate con discutibile tempismo in due blocchi successivi. Avrebbero potuto fargli avere la prima con maggiore sollecitudine, se non altro per consentirgli di realizzare che ogni sera, su quella strada, c’era qualcuno che lo fotografava, ma non lo fecero. Ne accumularono un po’, 17 in tutto, poi gliele spedirono, e quando gliele ebbero notificate, una seconda tranche era già partita senza che nessuno potesse fare nulla per fermarla.

La questione del Tutor - e del meccanismo che ha consentito all’amministrazione provinciale di avviare un semestre sperimentale affidandone la gestione senza gara d’appalto - è stata già al centro di diversi approfondimenti. “La Provincia” ne ha scritto moltissimo, seguita da tanta stampa specializzata che al “caso Como” ha dedicato ampi servizi e commenti severi da parte di chi era e resta convinto del fatto che, da queste parti, siano stati travolti i paletti piantati dall’allora ministro Roberto Maroni contro i cosiddetti “multifici” a cottimo.

Il nodo è però anche un altro, e riguarda la assoluta mancanza di vie d’uscita a disposizione dei cittadini di un Paese che davvero maltratta il contribuente in tutte le forme possibili, mostrando di avere scarsissima considerazione del suo denaro, del suo lavoro, della sua fatica e dei suoi sacrifici, a maggior ragione in un momento come questo, salvo poi imprecare - giustamente, ci mancherebbe - contro la pratica diffusa dell’evasione fiscale. La giustificazione è sempre la stessa: applichiamo la legge, refrain eterno e francamente inascoltabile che copre spesso vessazioni incomprensibili. Per ricorrere contro 38 multe facendo il “copia incolla” di motivazioni sempre identiche, il cosiddetto “contributo fisso” va pagato non una ma 38 volte. La “ratio” è probabilmente quella di scoraggiare impugnazioni inutili e infondate, che appesantiscono i lavori dell’ufficio, ma sul rovescio della medaglia c’è una limitazione sostanziale dei diritti di chi, convinto delle sue buone ragioni, vorrebbe poterle esporre a un giudice, e senza per questo ridursi sul lastrico. Come a dire: chi ha i soldi impugni, chi non li ha si rassegni.

Nel caso di Luca, peraltro, è andata male, malissimo: ai mille e passa euro scuciti per ricorrere, si sono aggiunti quelli che dovrà pagare per le multe, visto che i giudici di pace hanno respinto in blocco le sue osservazioni. Aveva oltrepassato i limiti, il che è incontrovertibile, ma guidò sempre con prudenza, come testimoniano i verbali, che mai diedero conto di superamenti superiori ai dieci chilometri orari. Memorabili, per modo di dire, le sere in cui rimediò una contravvenzione all’andata e una al ritorno, dieci minuti dopo avere portato a casa la fidanzata.

Non gli resterà neppure la parzialissima soddisfazione di avere contribuito con i suoi soldi al miglioramento della sicurezza sulle nostre strade perché, in base al contratto con Safety 21 - la ditta che gestiva il sistema di rilevamento - gran parte di quel denaro, nel periodo di sperimentazione, finiva al privato. Insomma, diceva qualcuno che la ragion di Stato non deve opporsi allo stato della ragione, ma per poterla difendere la ragione andrebbe prima conservata. E da noi sembra morta davvero da un pezzo.

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