Siamo soli: lo svela
anche Facebook

E così, i primi a saltare sono i compagni di scuola. Gli amici dell’adolescenza, quelli delle notti magiche e disperate, delle prime pulsioni, di quella stagione della vita che Louis Malle riteneva la più affascinante di tutte perché l’adolescente fa ogni cosa per la prima volta, dei riti di passaggio, delle tasche vuote e degli stomaci di ferro, della sfida al mondo che avevi in progetto di cambiare dalle fondamenta. I tuoi amici.

I tuoi amici per la pelle. I tuoi alter ego. I tuoi Mini-Me. I tuoi inseparabili. Quelli che chi trova un amico, trova un tesoro. Niente. Via tutti. Cancellati. Archiviati.

Nebulizzati dal reset della memoria. È questo il risultato di uno studio dell’Università del Colorado sull’addio ai finti amici virtuali sui social network. E i primi della lista, assolutamente a sorpresa e in numero ben più elevato rispetto a lontani parenti, conoscenti generici e colleghi di lavoro, sono proprio gli ex compagni di scuola, in particolare delle medie superiori, che rappresentano addirittura un quinto degli epurati. La notizia è paradossale, visto che una delle molle principali dell’iscrizione degli adulti a Facebook – al di là dei motivi di lavoro e degli infantilismi regressivi di mandrie di cinquantenni frustrati che si illudono di tornare giovani postando considerazioni filosofiche sull’universo mondo o spadellando come in una pentola Wok commenti idioti sull’ultimo taglio di Rihanna con tanto di faccini che ridono e pollici all’insù – è proprio quella di rintracciare vecchie conoscenze perse di vista da tempo. Ma è anche una notizia sconvolgente, perché va a toccare uno dei punti più sensibili della nostra esistenza da borghesucci che non hanno mai fatto la fame né mai visto una guerra e che perciò possono accoccolarsi in quella flaccida piega della memoria che rende magnifico e inimitabile tutto quello che si è fatto da ragazzi e invece schifoso, fallimentare e patetico quello sopraggiunto assieme all’età adulta: la sacralità dei legami scolastici.

A parte il fatto che probabilmente aveva ragione Paul Nizan, quando diceva “avevo vent’anni: non lascerò dire a nessuno che è la più bella età della vita” – ma d’altra parte non aveva torto neppure Gianni Agnelli nel ricordare che “ci si innamora solo a vent’anni: dopo si innamorano solo le cameriere” -, lo studio dei ricercatori americani afferma che i motivi principali per cui si cancella un compagno di classe da Facebook sono due: la pubblicazione di commenti faziosi su religione e politica e la frequente condivisione di contenuti non interessanti. Il primo significa che quella visione del mondo che da ragazzi era ancora in formazione, un magma caotico nel quale velleità, emozioni, progetti e azzardi erano allo stato nascente e quindi condivisibili con tutti i coetanei che partecipassero allo stesso entusiasmo per l’esistenza in quanto tale si è ora solidificato e quindi la destra è veramente destra, la sinistra veramente sinistra, le convenzioni sociali rigide gabbie da cui non si vuole o non si può uscire, oppure tutto questo ha cambiato completamente verso e tu ti trovi tradito dal sodale che una volta la pensava come te. Il secondo, invece, che è ancora più drammatico, è capire che il tuo vecchio amico continua a postare notizie, riflessioni e contenuti che a te non interessano, ti annoiano, ti lasciano freddo e distante: insomma, e che caspita, hai già una moglie o un marito sul groppone da vent’anni, ci manca solo di attaccare un’altra palla al piede delle tue faticosissime giornate e sei pronto per il ricovero in psichiatria…

Diciamoci la verità. Alla faccia della nostalgia canaglia, ruffiana e ricattatoria di film come “Il grande freddo”, scopiazzato da Verdone in “Compagni di scuola” - ma sul tema la letteratura è vastissima -, il pane duro di questa ricerca è che anche qui, anche nel più inviolabile dei templi della memoria, molto più sacro di quello dell’amore, nulla è per sempre, tutto svanisce, tutto si sgretola e si sminuzza. E se il ricordo dei bei tempi andati delle gite scolastiche – fonte d’inspirazione per un magnifico e malinconico affresco di Pupi Avati – e dell’ingresso dei cuccioli d’uomo nella società è un’esca alla quale non si riesce a non abboccare, alla fine il tuo percorso per le strade del mondo è destinato a rimanere solitario. Si nasce soli, si vive soli, si muore soli, diceva quello là. È una dura verità, ma anche una saggia filosofia.

Ed è da qui che nasce quel lieve, ma stringente senso di disagio, quella voglia di scappare, di fuggire con qualche scusa strampalata dall’appuntamento, quel vago senso di dolore che ti striscia dentro lo stomaco quando ciclicamente, saltando fuori da chissà quale abisso dei tempi perduti, arriva l’invito a una qualche rimpatriata per ricordare i trent’anni dalla maturità, i vent’anni dalla laurea, o quelli dal congedo del militare o l’anniversario di quella mitica e febbricitante vacanza in Costa Brava o di quel mitologico ultimo dell’anno in Germania. E non è tanto per la conta un po’ spietata di chi, tanto tempo dopo, ce l’ha fatta e chi no (e poi che vuol dire, alla fine, avercela fatta?), di chi è ricco e chi sbarca il lunario, di chi se li porta bene e chi sembra già un mezzo rottame e tutto il resto delle tristezze che vi possano venire in mente, quanto invece per la sensazione angosciante di non aver davvero nulla da spartire con quei personaggi lì. Alieni. Sconosciuti. Mai visti prima. Spettri di un passato lontano mille secoli nel quale, a pensarci bene, anche tu eri un’altra persona che con la presente e viva non ha davvero più niente a che fare.

Eravamo tanto amici. C’eravamo tanto amati. Se oggi basta un click per diventare amici di qualcuno, ne basta un altro per non esserlo più e sparire per sempre. Anche se, forse, la verità sta tutta nella scena finale di “Stand by me”, film dolcissimo tratto da un romanzo di Stephen King: “Non ho mai più avuto amici dopo quelli che avevo a dodici anni. Gesù, ma chi li ha?”

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