Tra Italia e Ticino
va ricucito il dialogo

Mai i rapporti tra Canton Ticino e Lombardia sono scesi così in basso. Il tentativo del governatore Lombardo di tenere in Lombardia le imprese che hanno le valige in mano per emigrare in Svizzera con una serie provvedimenti che dovrebbero facilitarne l’ attività in casa, si inserisce in una logica competitiva innescata da altrettanti provvedimenti presi da parte ticinese per favorire l’insediamento in territorio cantonale delle imprese italiane.

È dunque aperta la guerra dei vantaggi competitivi e non occorre essere dei maghi per capire chi la vincerà. Non
potendo gestire la leva fiscale, quella urbanistica, quella dei pubblici servizi gestiti dallo Stato, l’iniziativa regionale appare perdente in partenza avendo il vicino Cantone ben più ampia autonomia legislativa e regolamentare in materia. Ma il tentativo di Maroni si presta ad una più ampia riflessione. Che ne è della cultura del dialogo e del negoziato che di fronte ad un interlocutore ben più attrezzato di mezzi e di strumenti operativi è da sempre stato lo strumento attraverso cui si è caratterizzata l’azione pubblica nei confronti del nostro vicino conosciuto?

Una cultura del negoziato che trovava fondamento non solo nella lingua comune, ma nella comunione con la cultura italiana di una folta schiera di intellettuali ticinesi . Da Francesco Chiesa, a Piero Bianconi, a Guido Calgari per citarne solo alcuni, tutti formatisi in Italia e che all’Italia guardavano con gli occhi dell’amico grato.

Un atteggiamento ricambiato da parte nostra. Si pensi al legame col Ticino e i Grigioni di Piero Chiara,testimoniato dal suo Helvetia Salve! e di Dante Isella docente di letteratura italiana al politecnico di Zurigo, collaboratore del lessico dialettale e ai tanti suoi allievi italiani docenti ancora oggi nei Licei del Cantone.

Una amicizia reciproca forgiatasi nella comune esperienza ottocentesca, fatta di fame e di stenti e nella trepida, complice disponibilità ticinese nell’accogliere tanti rifugiati durante l’ultimo conflitto mondiale. La comune consapevolezza di essere su un confine e dunque in una terra di precarie certezze e di rischi continui aveva non solo pungolato di qua e di la dal confine la creatività di chi deve sempre reinventare il proprio futuro ma anche una comune intesa, atta a promuovere reciproci vantaggi, confessabili e inconfessabili. Non sto qui ad enumerarli tanto quella intesa è iscritta nella vita della nostra terra, ma mi piace ricordare come testimonianza di quel dialogo l’accordo italo- svizzero sui ristorni degli anni Settanta del secolo scorso.

Promosso da Aristide Marchetti e basato su una politica di reciproche concessioni con soddisfazione di entrambe le parti ha fruttato alle casse dei nostri comuni di frontiera sino ad oggi un miliardo di franchi. Che qualcosa si sia rotto in quel rapporto e che la iper competitività odierna possa aver fatto a pezzi una sicura comunanza di valori è un dato di fatto. Ma è altrettanto vero che da quaranta anni a questa parte da parte nostra si è del tutto trascurato l’unico vero nostro vantaggio competitivo. Quello di negoziare col nostro vicino.

Quanti sacrifici territoriali abbiamo subito a vantaggio di imprese strategiche della Confederazione e di interessi d’oltre confine senza che da parte nostra fosse avanzata una qualche richiesta che andasse a vantaggio del bene delle nostre comunità! Invece di inseguire la chimera di una possibile gara competitiva con il vicino Cantone è forse il caso che venga ripresa la politica del dialogo e del negoziato abbandonata con conseguenze deleterie dalla intera classe politica delle ultime generazioni.

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