Uffici sovrani
e cittadini sudditi

Due anni fa è uscito un libro illuminante per spiegare il rapporto che ancora oggi si stabilisce fra l’amministrazione pubblica - centrale o periferica - e il cittadino italiano. Il titolo del libro, scritto dall’economista Nicola Rossi, illustrava da solo, in una parola la realtà: sudditi.

Non occorre essere renziani o antirenziani per riconoscere che la nostra macchina amministrativa, per molti aspetti e nonostante i computer che quasi ovunque fanno bella figura sulle scrivanie, è costretta da leggi e consuetudini vecchi per non dire antiquate. E, anche e soprattutto per questo, inefficiente.

Ma non sempre è colpa dei famosi lacci e lacciuoli che pure Rossi mette al bando, quando toglie il velo sul rapporto tra lo Stato Sovrano e il Cittadino Suddito. A volte si tratta di viete abitudini, intese incrostatesi negli anni e resistenti a ogni innovazione (che di per se stessa, almeno nel mondo anglosassone, si traduce in miglioramento anche della vita e della carriera di chi la attua), carenze organizzative che nessuno si è mai posto il problema di correggere. Se non altro perché, sovente, negli uffici statali o delle amministrazioni locali, tiene, magari inconsciamente, l’autoconsiderazione di sentirsi paladini dello Stato Sovrano.

Così accade che a Como il cittadino che vuol usufruire dei servizi comunali, si debba armare di pazienza, tanta pazienza.

Perché - come spieghiamo in un’ottima inchiesta all’interno - gli sportelli amministrativi hanno orari di apertura piuttosto limitati e, in gran parte concentrati al mattino (con l’esclusione, ovvia, della biblioteca) e, con l’eccezione dell’Anagrafe e sempre della biblioteca, anche del sabato.

Como e i suoi uffici comunali si “salvano” solo con il “mercoledì del cittadino”, felice e purtroppo isolata invenzione di qualche anno fa. Per il resto il quadro, a dispetto delle reali intenzioni o della disponibilità dei singoli, è complicato e per l’utente-cittadino anche avvilente. È stato sufficiente un tributo come la Tari, con un po’ di bollettini errati, per creare code non troppo veloci da smaltire. Ma è la realtà di tutti i giorni a saggiare la resistenza del comasco che, oltre a doversi assentare dal lavoro o infilare un giorno di ferie nella settimana, deve anche fare una sorta di gimkana, tra uffici e sportelli con orari diversi. Per non parlare se, per caso, qualcuno deve parlare con un dirigente: altro che bussare e attendere, bisogna prenotarsi, quasi come prendere lo scontrino al supermercato.

Tutti sappiamo fino alla nausea che gli enti locali hanno pochi soldi, pochi organici e magari non tutti all’altezza. Però il raffronto con altre realtà simili finisce per condannare gli sportelli comaschi: a Varese e Lecco non ci sarà una burocrazia locale alla danese, però le aperture al pubblico sono più elastiche, cadenzate e in misure maggiore. Dunque il problema sta a Palazzo Cernezzi. I sindacati e il nuovo assessore qualche idea ce l’hanno, ma non sembra proprio che una vera rivoluzione sia dietro l’angolo. I cambiamenti sono duri, a volte ingiusti, rompere con abitudini e ritmi consolidati non è facile, è più semplice parlare di straordinari e quindi maggiori spese/guadagni. Eppure tutti, amministratori e dipendenti, devono ricordarsi che ai cittadini devono rispondere. Uno sforzo, che guardi a maggiore flessibilità e miglior uso delle tecnologie, potrebbe rivelarsi interessante. Basta avere la volontà di farlo. Ricordando che oggi si è amministratori i lavoratori, ma il giorno dopo si è anche cittadini che hanno bisogno di uffici aperti e funzionanti. E anche a questi ultimi cittadini non piace mettersi in coda per ore, magari con il bigliettino stile supermercato in mano.

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