Una grande occasione
e ci manca il vestito

Sono trascorsi sei anni dalla decisione di assegnare a Milano l’onere e l’onore di organizzare l’Esposizione universale del 2015. Eravamo ad agosto, anno 2008, e fu subito un diluvio di dichiarazioni all’insegna dell’entusiasmo. La parola più usata all’epoca, anche a Como: occasione. Un’occasione irripetibile, straordinaria, da non perdere assolutamente, una svolta per il territorio, dicevano tutti. Poi si è cominciato a capire che non sarebbe arrivato un euro per le infrastrutture, ma il ritornello non è cambiato; si trattava comunque di un’occasione di crescita eccezionale per la città e la provincia, sul fronte turistico ma non solo. Ecco, adesso mancano meno di quattro mesi all’inaugurazione dell’evento. E l’impressione è che ci manchi il vestito da “grande occasione”. Abbiamo avuto sei anni di tempo eppure arriviamo al taglio del nastro senza sapere cosa metterci.

O meglio, restando nella metafora, abbiamo deciso su quali capi d’abbigliamento puntare ma il sarto è stato allertato troppo tardi e ora c’è il rischio che non riesca a consegnare le sue creazioni - pur splendide - in tempo utile. Che figura faremo con gli ospiti? Il pericolo è che scelgano qualcun altro (la Svizzera, per esempio) oppure puntino su di noi salvo poi pentirsi della scelta.

Speriamo ovviamente di essere smentiti su tutta linea, d’altra parte non è ancora detta l’ultima parola, la corsa dell’amministrazione comunale potrebbe centrare il bersaglio in zona Cesarini. Resta il fatto che, ad oggi, la ricognizione sull’avanzamento dei progetti annunciati come qualificanti per Como nel periodo dell’Expo non autorizza a dormire sonni tranquilli. Dalle nuove piazze a viale Geno passando per la stazione San Giovanni e l’ufficio turistico al Broletto, ci sarà da lottare fino all’ultimo per arrivare all’appuntamento del primo maggio con un look almeno decoroso. Sarebbe imperdonabile mostrarsi agli occhi del mondo con i cantieri più importanti a metà del guado, il lago sporco, le buche nelle strade e uno scalo ferroviario fermo a qualche decennio fa.

Anticipiamo la più classica delle obiezioni: Como è bella anche così. Nessuno lo mette in dubbio, ma la fortuna di vivere in una città con tanti gioielli (dall’architettura al paesaggio, lasciando da parte per un attimo il lungolago deturpato dal cantiere per le paratie) non deve spingere ad accontentarsi. Un errore commesso non di rado a queste latitudini.

Il discorso andrebbe ribaltato: proprio perché abbiamo molte carte da giocare, dobbiamo valorizzarle nel migliore dei modi. Chi viene a Como ha aspettative alte, legittimate dalla fama di cui godiamo. A maggior ragione le avrà considerando che il nostro territorio per sei anni ha potuto prepararsi all’Expo, studiando qualcosa di nuovo e lucidando quello che già c’è. I turisti arrivano lo stesso? Vero, lo stiamo vedendo anche in questi giorni, a dispetto del periodo. Se vogliamo crescere ancora, però, non possiamo sederci, in un mondo che va a mille all’ora. Possiamo farlo solo a patto di non lamentarci, poi, se la città non primeggia, i negozi fanno fatica, i turisti non passano più di due notti sul nostro lago, le coppie giovani e i cervelli migliori preferiscono stabilirsi altrove.

Ci sono poco più di cento giorni per recuperare terreno e portare a termine i progetti avviati. Forza.

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