Una risata distrugge
l’incubo del male
UNa risata distrugge
l’incubo del male

Quando Hanna Arendt, in un celebre saggio, individuò nella banalità la vera essenza del male non fece altro che cogliere una verità antica come il mondo. È proprio per questo che dal giorno del primo occidentale decapitato e della terribile minaccia dell’Isis all’Italia - “Prenderemo la vostra Roma, distruggeremo la croce, prenderemo le vostre donne!” - il profluvio di commenti, interviste, scenari, forum e profili sugli estremisti islamici che ha inondato le pagine dei giornali e le ospitate dei talk show non ha, paradossalmente, mai neppure sfiorato la profondità e la sorprendente efficacia raggiunta dalle mille risposte sgorgate dal mondo del web: “Nun pijate er raccordo, che restate imbottijati…”; “Pijateve mi socera, ve prego…”; “Daje, che ve damo ottanta euri a tutti…”. I romani, dei geni.

Il parallelo tra la tormentata filosofa tedesca e il fulminante, cinico, strepitoso disincanto romanesco può sembrare stridente, ma l’aver trasformato i tagliagole luciferini in macchiette bloccate nel traffico degli svincoli di Settebagni, Montespaccato e Bufalotta è di una comicità spiazzante, irresistibile, contagiosa. E poi perché raggiunge un risultato subliminale ancora più decisivo. Smitizzare l’Avversario. Ridicolizzare il Demone. Spernacchiare il Male fatto uomo. Liberarci, grazie a una crassa risata, da timori, fobie e paranoie accumulate in questi mesi di terrori veri e immaginari.

Anni fa, il compianto Edmondo Berselli aveva sottolineato che per gli apocalittici il ridere dei terroristi rappresenta un cedimento nichilistico, espressione dell’irrimediabile corruzione di un occidente irresponsabile che ormai sghignazza di tutto, anche di uno pronto a tirargli l’atomica sulla testa. Mentre invece per i non apocalittici questa serpeggiante ironia sembra essere piuttosto un rituale esorcistico, un antidoto contro la grande ombra, perché dentro di noi siamo comunque convinti che alla fine arriverà uno 007 a smontare l’infernale macchinazione contro il mondo ordita dalla solita Spectre di invasati.

Certo, c’è sicuramente tutto questo. Ma forse anche qualcosa di diverso. E di più profondo. La tragedia dell’11 settembre, unita alla congenita necessità dei media di creare sempre e comunque dei personaggi, anzi degli “eroi” ai quali rivolgere il nostro amore o il nostro odio, ha finito con il regalare ai terroristi una statura “morale”, oltre che politica e militare, che – al netto delle enormi responsabilità dell’Occidente nella genesi di questa crisi - non si meritano e che finisce con l’equipararli a divinità onnipotenti e infallibili. Una sorta di nemesi sulfurea che incombe sopra i nostri destini e che nulla e nessuno sembra poter infrangere. Insomma, degli eletti nel regno del Mito.

In fondo, nello stesso tragico errore era caduto ottant’anni fa anche un gigante come Picasso, quando nel 1937 realizzò “Guernica”, il capolavoro al quale la sua fama è legata a filo doppio. L’orrore per i bombardamenti nazisti sulla cittadina basca lo spinse a creare un’opera che voleva sancire la più definitiva delle condanne nei confronti di Hitler, paradigmatica icona del Male del Novecento: la condanna dell’Arte. Quei volti sfigurati, quelle carcasse umane e animali trasfigurate in pura metafora sembravano gridare all’eternità: “Hitler è un mostro, io sono un genio!”. Tutto vero, naturalmente, ma proprio per questo anche il più irrimediabile degli errori, perché è proprio nel momento in cui si conferisce a un individuo la qualifica di demone che lo si rende immortale. La via giusta non tanto per stigmatizzare – che in questi casi si rivela una misura del tutto inefficace – ma piuttosto per sbugiardare il totalitarismo è quella sperimentata invece da Chaplin ne “Il grande dittatore” del 1940. Trasformando in amarissima parodia la vita di un despota frustrato, invidioso, gonfio di sospetti e meschinità, l’indimenticabile Charlot sembra dire a quell’Hitler puerile e vanitoso che danza col mappamondo: “Tu credi di essere un mostro, invece sei solo una caccola d’omuncolo come tutti gli altri”. La risata, la risata comica e patetica su quell’abisso che non è nulla di disumano e unico e irripetibile, ma che è “patrimonio” potenziale di tutti, ridicolizza il male e ne distrugge la portata mitica. In questo caso, il genio Chaplin è stato molto più genio del genio Picasso.

Ora, è evidente che nessuno oserebbe azzardare un paragone tra una freddura gergale sul web e il gigantesco talento di Chaplin, ma insomma, anche se inconsciamente, siamo incamminati su quella strada. E dopo mesi di trombonate pseudo-holliwoodiane sui cattivi che più cattivi non ce n’è e di reportage occhiuto-santoriani che è inutile cercarli tanto non li troveremo mai e ci sta pure bene, perché siamo noi occidentali i veri farabutti, se ne sentiva davvero il bisogno. Non concediamo all’Isis questo vantaggio. Quelli non sono eroi maledetti, Che Guevara islamici, benefattori sanguinari di tapini e diseredati, ma solo criminali che uccidono civili innocenti, demagoghi verbosi che ingolfano i loro proclami di stupidaggini ridicole e velleitarie, in fondo così simili alle stupidaggini ridicole e velleitarie che ci propinavano ai bei tempi le Brigate Rosse. Gente così non vale neppure la pena di ucciderla o spedirla a Guantanamo. Una volta entrati nelle loro grotte, basta rifilargli due pedate nel sedere e urlargli nelle orecchie: “E adesso in miniera, a lavorare!”. Quante volte ci siamo sorpresi a pensare a quegli esseri barbuti e a rabbrividire per lo smisurato carico di odio che sanno trasmettere nei loro atti e nelle loro parole. Eppure, pensiamoci un attimo, se proviamo a osservare con attenzione il collega che lavora alla scrivania dietro la nostra – sì, proprio quel collega lì – ci accorgeremo che da anni cova nei nostri confronti un livore e un disprezzo che, se potesse, altro che tagliarci la gola davanti a una telecamera. Eh sì, anche in questo quei cialtroni dell’Isis non sono affatto peggiori di noi...

[email protected]@DiegoMinonzio

© RIPRODUZIONE RISERVATA