Vedere cammello
pagare la Tares

I cittadini di Como adesso sanno quanto dovranno pagare di Tares (per gli amici, “Tassa sui rifiuti”). Detta così, sembra faccenda da poco. Non lo è: in questo magnifico Paese anche al Fisco piace improvvisarsi Hitchcock e giocare sul filo della suspence.

Non c’è differenza tra tasse nazionali, regionali e locali: sappiamo con certezza assoluta che dovremo pagare ma non quando e quanto. Le tasse, da queste parti, possono saltarti addosso quando meno te l’aspetti. Passeggi fischiettando e un’imposta si attacca alle caviglie; posteggi l’automobile e un’aliquota ti salta alla giugulare. Non a
caso le tasse hanno nomi affini a quelli che si danno ai cani da catena: «Giù Tares! Fermo Irpef, molla la pallina!».

Accogliamo dunque l’annuncio con soddisfazione: corretti gli errori introdotti durante la fase di simulazione, il Comune ha potuto determinare gli esatti importi della tassa dovuta per la raccolta rifiuti. Leggerete in Cronaca che, ancora una volta, il contributo non sarà trascurabile. Ci sono settori - se non proprio categorie - che troveranno nella cartella aumenti di oltre il 100% (ristoranti, pub, mense e birrerie), ma anche alcune famiglie dovranno affrontare robusti aumenti. Nel dettaglio, certi nuclei numerosi scopriranno di dover pagare molto di più rispetto al passato.

Non si tratta, spiegano in Comune, di una tassa sul celibato riproposta alla rovescia. Rispetto alla tradizionale tassa sui rifiuti - il cui importo era calcolato soltanto sui metri quadrati - la Tares tiene conto delle attività e delle situazioni private in cui si produce più spazzatura: ecco perché i ristoranti pagheranno più, per esempio, dei parrucchieri e le famiglie affollate più dei single che, al massimo, buttano il sacchetto della mozzarella e la lattina di birra.

Un criterio dotato di una sua logica alla quale, comunque, l’Amministrazione comasca deve adeguarsi senz’altro, perché imposta a livello nazionale. Certo, certi aumenti ripidi come il naso di Gino Bartali saranno difficili da digerire oggi che il commercio soffre e le famiglie affrontano durezze d’altri tempi. Sarebbe dunque particolarmente sbagliato se, come accade per tanti altri balzelli, la Tares si riducesse a un prelievo forzoso il cui ricavato i cittadini vedono affondare nello stagno della pubblica amministrazione senza poter sapere dove va a finire e, soprattutto, senza alcuna speranza di ricavarne un beneficio.

In teoria, non dovrebbe essere così: la Tares accompagna una “rivoluzione” della raccolta urbana dei rifiuti che, finalmente, dovrebbe portare la città nel ventunesimo secolo della consapevolezza ecologica. L’importante è che questo avvenga presto, con un effettivo, evidente guadagno per l’ambiente, per l’efficienza della raccolta, per l’immagine della città.

In altre parole: la questione sta tutta nello scambio. Troppo spesso rassegnati a versare tasse senza un corrispettivo in servizi pubblici efficienti, i cittadini - non solo a Como, ovunque - diffidano tanto della politica quanto dell’amministrazione e c’è il caso che coltivino la malevola tentazione dell’evasione fiscale. Tra la gente e l’amministrazione, invece, deve instaurarsi una forma di leale reciprocità: io pago - «buona Tares!, qui la pallina Tarsu!» - e tu Comune investi con trasparenza e sollecitudine in una città migliore. Possibilmente, spiegando in anticipo che cosa intendi fare e quando lo farai. La sintesi di tutto ci è venuta con una battuta un po’ buffa ma, ne siamo convinti, efficace: «Vedere cammello, pagare la Tares».

© RIPRODUZIONE RISERVATA