Violenza negli stadi
ritornello che annoia

Possibile che sulla violenza negli stadi ascoltiamo le stesse cose da 40 anni? E non è solo un problema di noia. Ma anche la prova che evidentemente, nei commenti dei salotti catodici (anzi satellitari), del problema si è capito ben poco. Per sconfiggere il nemico, si dice, prima regola è quella di conoscerlo. Ebbene, possiamo tranquillamente concludere che il nemico in questione, la violenza da stadio, è assolutamente sconosciuta ai commentatori che blaterano in tv, di cui evidentemente non conoscono contorni, contesti, gravità, dinamiche. In particolare ci siamo stufati di sentire di parlare del modello inglese. Basta. Bastaaaa. L’Italia insegue il modello inglese più o meno da 30 anni, cioè dopo la guerra agli hooligans seguita al disastro dell’Heysel, la finale di Coppa Campioni tra Juve e Liverpool finita con 39 morti.

Piccolo particolare: noi non siamo inglesi. E pensare di creare un modello inglese con gli italiani al posto degli inglesi è improponibile. Perché là c’è il concetto di controllore incorruttibile, là fanno le file all’autogrill in ordine, hanno senso civico, c’è una netta divisione tra consentito e non consentito. Qui no. Fate il confronto tra un controllore ai tornelli di Anfield Road e uno del San Paolo di Napoli e poi ne riparliamo. Non si capisce, poi, perché, se proprio si deve fare un paragone tra paesi e usanze da stadio, non si riconosce nei dibattiti che il popolo da stadio italiano è molto più simile a quello argentino. Provate ad andare voi a far stare seduta la Bombonera di Buenos Aires. Questione di civiltà? Forse. Ma anche di cultura, di substrato. In Inghilterra la delinquenza da stadio è un fenomeno di fuorilegge votati alla rissa e stop.

La nostra violenza da stadio arriva in un contesto assolutamente diverso: in Inghilterra non c’è il Calcio Storico Fiorentino, dove ci si mena sino allo sfinimento in nome di una rivalità di quartiere; non c’è il Palio di Siena, dove le donne se ne tornano a dormire nella contrada di appartenenza prima della gara; non c’è il lancio delle arance di Ivrea dove si esce con la faccia tumefatta in nome di una tradizione. Non ci sono i campanili che nascono e vomitano livore nel giro di 50 metri quadrati. Conoscere il tema prima di cercare soluzioni. Cercare di capire di cosa si sta parlando. Se uno ha il mal di testa gli si dà l’aspirina, non un cerotto.

Sapete perché in Italia siamo distanti dal risolvere il problema? Perché in tv, di fronte a una folla inferocita che picchia le mani sul pullman della squadra avversaria, invece che chiedersi perché il colpevole dell’atto criminoso con sasso assassino non sia stato fermato, si preferisce fare l’analisi psicologica a casaccio di tutta la gente che gira intorno alla scena, con stereotipi vomitevoli, falsi, banali, noiosi da quadernetto di quinta elementare, tema, svolgimento, riassunto. Siamo lontani da una reazione seria al problema. Anzi, a una analisi seria del problema. Basta inventarsi dinamiche incredibili (le bombe create dentro lo stadio). Basta prendersela con tutti tranne che con i colpevoli. Con le bandiere, con gli striscioni, con le trombette, con i cori, con i tamburi, con gli abbonati innocenti che non sanno nemmeno di cosa si sta parlando e si vedono chiudere in faccia il cancello dello stadio. Basta con la noia dei commenti in tv. Cambiamo ritornello, almeno.

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