Viviamo in paradiso
E lo dicono gli altri

Come si fa ad accorgersi di vivere in paradiso? Alcune volte, ce lo rivelano gli altri, quelli che arrivano da lontano e sanno stupirsi della bellezza e delle chance delle nostre terre, a cui ci siamo abituati. Oppure chi si è allontanato, anche per scelta, e il suo sguardo è accentuato da una distanza che permette di apprezzare meglio.

Così c’è George Clooney che confessa come il lago di Como sia la sua musa e Villa Oleandra il miglior affare della sua vita.

Ma anche un imprenditore come Pierangelo Lanfranchi, titolare di un ristorante esclusivo alle Bermuda, che ama sottolineare la magia della sua zona d'origine. Che per lui è la Brianza, con lo spirito battagliero e creativo apprezzato in tutto il mondo per i mobili ad esempio. É Como e la sua seta, ma anche la bellezza del Lario, uno stile di vita, un’atmosfera rilassante e capace di placare le ansie della routine dei nostri giorni.

Tuttavia, il paradiso - quello umano - non è perfetto. E la lacuna più seccante, se si vuole, è la mancata consapevolezza dei suoi abitanti.

Vale per l’Italia, il cui sport nazionale - più potente persino del calcio - è l’autoflagellazione. Può valere anche per il nostro lago. Se vi sembra troppo, eseguiamo subito un test e siate sinceri fino in fondo: il termine “paradiso”, lo accostereste d’istinto alle Bermuda - dove abita e lavora Lanfranchi - oppure a Como? Eppure gli americani si rivolgono proprio così all’imprenditore italiano, stupiti: «Abiti a Lake Como e ti trasferisci qui?».

No, non ci rendiamo conto spesso dell’ambiente che ci accoglie e che avremmo il dovere di mantenere stupendo e di migliorare nel nostro piccolo. Non mostriamo sufficiente orgoglio, quando ne parliamo. Ancor meno, se passiamo al campo dell’azione.

Non dovremmo sopportare le buche, e non perché procurano fastidio alla moto di George Clooney. Dovremmo provare sano orrore di fronte alla scalinata della stazione tempestata di buche, che accoglie i turisti gettando immediatamente qualche ombra sull’immagine idilliaca concepita prima. Avvertiremmo un sano orrore se la nostra mano sta per lasciar scivolare a terra una cartaccia e tempesteremmo di telefonate il Comune o l’ente competente alla visione delle sterpaglie che invadono un’area sotto gli occhi di tutti.

Se questi non sono i nostri pensieri, le nostre reazioni, allora è utile sottoporci a un esame di coscienza. Per tenere stretti a noi i turisti, che significano affari, visibilità, un ritorno anche in termini di export: un percorso guidato tra le meraviglie della natura, come pure tra le eccellenze della nostra produzione, porta ossigeno prezioso in tempi tribolati come i nostri.

Il paradiso può attendere, assicurava un film di Warren Beatty. Ma nella vita reale non è così: il nostro ha bisogno di essere tutelato, rafforzato, reso ancora più bello e fruibile. Serve un impegno economico, e prima ancora un cambiamento culturale. Che a Como sta iniziando - viene riconosciuto da più parti - ma che richiede un ulteriore impegno.

Impariamo a guardare i nostri luoghi anche con gli occhi degli altri. Scopriremo che sono ancora più belli, che per far scoprire un tesoro occorre anche un cartello in inglese o che le magliette “I love Como” possono superare quella con la scritta sull’università senza vergogna.

Non significa essere provinciali, ma investire sul proprio futuro, volare alto non perdendo di vista la propria terra.

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