Università dell'Insubria,
il ministro boccia Como

Facoltà di Scienze con l’acqua alla gola: nessun salvagente da Roma. Anzi, rispondendo a un’interrogazione del senatore comasco Alessio Butti, il ministro Maria Stella Gelmini sposa la linea del rettore Renzo Dionigi, ovvero quella che ha portato alla soppressione di due corsi di laurea attivi nella sede lariana, Informatica e Scienze dei beni culturali, e al trasferimento di otto docenti da Como a Varese

COMO Facoltà di Scienze con l’acqua alla gola: nessun salvagente da Roma. Anzi, rispondendo a un’interrogazione del senatore comasco Alessio Butti, il ministro Maria Stella Gelmini sposa la linea del rettore Renzo Dionigi, ovvero quella che ha portato alla soppressione di due corsi di laurea attivi nella sede lariana, Informatica e Scienze dei beni culturali, e al trasferimento di otto docenti da Como a Varese.
A riferire l’esito negativo dell’appello al ministro è lo stesso parlamentare del Pdl, che tuttavia si è riservato di divulgare la risposta della Gelmini soltanto tra qualche giorno, per tentare nel frattempo di "addolcire la pillola" attraverso ulteriori confronti con i vertici del ministero. Nell’attesa, il senatore Butti rilancia la palla agli enti locali. «Ci si deve interrogare sul futuro di Univercomo - afferma - che drena risorse non indifferenti, 100mila euro all’anno soltanto dal Comune di Como, utilizzate per lo più per pagare consulenze che producono studi e progetti. Ma adesso è il momento di passare dalle parole ai fatti». Butti si riferisce in particolare alla necessità di recuperare terreno rispetto al polo varesino. «Como si è aggiunta Varese, dove l’università già esisteva da un maggior numero di anni, per costituire l’ateneo autonomo dell’Insubria. La legge istitutiva di quest’ultimo raccomandava un equilibrato sviluppo delle due sedi, ma mi pare evidente che non sia stata rispettata. A questo punto, o si cambia la legge, oppure il territorio si deve far sentire». «Attendo risposte», conclude Butti, che però non vuol sentir parlare dell’incapacità di «fare squadra» di cui Como viene accusata da più parti. «In questo caso - dice - la squadra c’è e si chiama Univercomo, solo che non ottiene risultati». Insomma, oltre al futuro della facoltà di Scienze, a rischio di sopravvivenza secondo quanto più volte ribadito dal suo preside Stefano Serra Capizzano, Butti mette sul piatto anche quello di Univercomo. E non risparmia una frecciata ai parlamentari del Carroccio, che il mese scorso avevano diffuso un comunicato stampa in cui difendevano i vertici accademici. «Non mi sta bene dire "va bene così", come hanno fatto i colleghi leghisti - afferma il senatore del Pdl -. Stiamo andando contro la legge istitutiva dell’Università dell’Insubria. La razionalizzazione, prevista dalla normativa nazionale, va attuata con equità tra i due poli dell’ateneo e spiegandone chiaramente la ratio».
È proprio l’adeguamento ai parametri ministeriali l’ostacolo che rischia di diventare letale per la facoltà di Scienze di Como. «Secondo le stime del ministero - osserva Butti - il 30% dei corsi universitari dovrà essere soppresso. Sono il primo ad essere d’accordo che si debba tornare a un’università di altissimo livello didattico, altrimenti è inutile lamentarsi se a Cosenza ingessano il braccio sbagliato a una bambina, o se a Como un chirurgo fa morire sei-sette persone». Ma non nasconde, il senatore, di essere «molto preoccupato» per le conseguenze che questa razionalizzazione avrà sul polo comasco dell’Insubria.
Butti non entra nel merito delle polemiche che hanno investito il rettore Renzo Dionigi e il suo vice Giorgio Conetti dopo la decisione, votata dal Senato accademico ai primi di novembre, di approvare il trasferimento dei docenti da Como a Varese, con conseguente taglio dei corsi di Informatica e Scienze dei beni culturali, solo in parte compensato dallo sdoppiamento su Como di quello in Scienze della comunicazione, che però non è gradito agli enti territoriali. «Non dimentichiamoci l’autonomia universitaria - sottolinea Butti -: se un "barone" decide la linea e il Senato accademico la approva, c’è "poco da sfogliar verze", come si suol dire».
Pietro Berra

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