Di Giacomo, inchiesta chiusa
Sono due i killer del furgone

Lo sostiene la Procura della Repubblica di Como, che ha completato gli accertamenti sulla morte del piccolo imprenditore di Colico Antonio Di Giacomo, freddato a colpi di pistola in centro storico lo scorso 9 ottobre. Nei guai Emanuel Capellato e Leonardo Panarisi, cui il pm contesta l'accusa di omicidio volontario aggravato in concorso

COMO - La Procura della Repubblica ha chiuso l'indagine sulla morte di Antonio Di Giacomo, piccolo imprenditore di Colico freddato a 44 anni il pomeriggio del 9 ottobre scorso, durante una discussione in un bilocale del centro storico di Como. Gli avvisi di conclusione, preludio alla richiesta di rinvio a giudizio, sono stati inviati a tutti gli indagati, che come noto sono tre: Emanuel Capellato, 34 anni, comasco iscritto all'anagrafe di Brunate ma con residenza in centro storico e un lavoro da barista, Leonardo Panarisi, 52 anni, originario della provincia di Agrigento ma trapiantato da molti anni nel Comasco, a Tavernerio, e Davide Terraneo, 47 anni, nato e cresciuto a Como, volto notissimo negli ambienti del tessile comasco. Terraneo non è direttamente coinvolto nell'omicidio, nel senso che, oggi come all'epoca del suo arresto (il 24 ottobre, dopo due settimane di indagini), l'accusa che gli muovono è quella di favoreggiamento personale nei confronti dell'amico Emanuel, con il quale Terraneo avrebbe cenato a Inverigo la stessa sera della morte di Di Giacomo.
La posizione degli altri due è ovviamente più delicata: il pm Antonio Nalesso contesta a entrambi il reato di concorso in omicidio volontario pluriaggravato, un delitto punibile con l'ergastolo, anche se il ruolo dell'uno si sovrappone a quello dell'altro, su un reticolo di accuse reciproche che in questi mesi hanno confuso molto e chiarito poco. Nel fascicolo della Procura ci sono i verbali degli interrogatori degli indagati e gli esiti di tutti gli accertamenti tecnici. Tirato in ballo da Capellato, che lo aveva accusato di essere l'autore materiale dell'omicidio, Panarisi si trova nella posizioni relativamente più favorevole, poiché il tentativo di evidenziare tracce di polvere da sparo nel marsupio di cui si serviva normalmente, ha avuto esito negativo. Ai poliziotti ha sempre raccontato di essere intervenuto sul luogo del delitto soltanto per "soccorrere" Emanuel, il «ragazzo», il figlio del suo amico Nilo (celebre contrabbandiere scomparso nel 2004), che una volta di più era riuscito a mettersi nei guai. Panarisi sostiene di averlo aiutato a liberarsi del corpo di Di Giacomo ma nulla di più. Capellato, invece, non ha ancora saputo spiegare in modo plausibile il possesso di una molla di pistola che a sentire gli esperti balistici sarebbe compatibile con l'arma del delitto, in verità mai ritrovata.
Secondo la procura, e secondo gli agenti della squadra mobile, Di Giacomo sarebbe stato ucciso da Panarisi e da Capellato durante un goffo e maldestro tentativo di rapinarlo di alcuni orologi falsi. Capellato punta il dito sul coindagato, sostenendo che fu lui ad aver sparato: «Io ero sceso a prendere un caffè». Dopo il delitto il corpo di Di Giacomo fu chiuso in un armadio acquistato in un "fai da te" con l'idea di trasportarlo in giro per piazza Duomo e caricarlo poi sul furgone giallo della vittima, ritrovato la mattina dopo a Tavernerio.

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