Il caso ratti arriva a Chiasso
I frontalieri: noi discriminati

Contro di loro il voto del 2009, il 65 per cento ha votato no alla libera circolazione. Ma gli italiani che lavorano in Svizzera replicano: portiamo intelligenza, non solo braccia che lavorano

COMO «Bala i ratt, la campagna contro i frontalieri: che cosa volete aspettarvi da un Paese che chiama Natel il telefonino, precicast le protesi, jacky boy il decespugliatore? E chiamò debarcadero l'imbarcadero, finchè si accorse che c'era un problema. Diventò imbarcatoio». Il frontaliere sfoglia lo Svizionario e ride. «Che devo fare? Rido... una risata vi seppellirà», sentenzia e s'incupisce: «I manifesti con i tre "ratt c'a balan" sono apparsi prima nella zona di Locarno e adesso anche nella zona di Chiasso, in modo da ferire più gente possibile - osserva - Ma quando sono apparsi? Tre giorni dopo la morte di un operaio italiano sul cantiere di Alptransit e due giorni dopo il ferimento di un altro italiano sullo stesso cantiere. Questo lo dice lunga sui committenti: sono degli infami. Punto». E se ne va: comincia a lavorare alle 7 del mattino in una delle 26 ditte orologiere del Canton Ticino, tenute in piedi dai frontalieri, 2500 franchi al mese, attestati dagli ispettori del lavoro che hanno parlato di dumping, cioè gli stranieri, gli italiani, sono pagati meno degli «indigeni», come i ticinesi si chiamano tra loro.  «Ma sono gli stessi datori di lavoro - interviene un collega, operaio metalmeccanico - a preferire i frontalieri. Non perché li pagano meno. Ma perché noi siamo più bravi. Se le sognano, loro, la nostra preparazione, la nostra tecnologia, la nostra innovazione. Un professore dice che noi frontalieri collaboriamo alla ricchezza ticinese perché non portiamo solo braccia qualificate, ma anche intelligenza». Sono le nove di sera e per chi si alza alle sei del mattino e va a lavorare di là è tardi, non è possibile indugiare a chiacchierare, a raccontare di quella volta che la polizia ticinese ha fermato un frontaliere, l'ha portato in ufficio, lui ha appoggiato le mani su un tavolo e il poliziotto l'ha ammonito: «T'en giò i mann. Voi italiani non penserete di venire a rubare anche qui». Una boutade, ma anche nelle boutades, le parole sono pietre. O di quella volta che il datore di lavoro tirava sulla paga: «Te la tiro indietro, perché tanto tu guadagni con il cambio», gli spiegò. Certo che ci guadagnano, stanno guadagnando 100 euro ogni mille franchi. Ma possono essere licenziati in qualsiasi momento, possono essere offesi e devono tacere, il 65% dei ticinesi ha votato contro di loro, nel referendum 2009 sulla libera circolazione. Arriva la notizia che il senatore comasco Pdl Alessio Butti ha presentato un'interrogazione in Parlamento (ieri è anche intervenuto in aula, poi si è aggiunta l'onorevole Chiara Braga, del Pd) ed è intervenuto in Senato per passi ufficiali del Governo su Berna: la campagna Bala i Ratt, che rappresenta i frontalieri come pantegane sull'emmenthal, offende un intero Paese. «Grazie al senatore - replicano i frontaliers, come li chiamano in uno sketch - ma non demorda, la Lombardia e il Governo si accorgano che 45.000 lombardi vanno a lavorare in Svizzera perché qui non c'è lavoro. È una fabbrica più grande della Fiat, ma i dipendenti sono figli di un dio minore». Butti e Braga lo sanno, ma da altre parti non sanno che cos'è un paese frontaliero: ricco di fondi di ristorno, che arrivano due anni dopo l'assegnazione e povero di risorse intellettuali ed artigiane, perché vanno tutti a lavorare di là. Due mesi fa, di là volevano annetterci.
Maria Castelli

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