Como, concorso dei vigili
In cinque dal giudice

Il comandante Graziani e il capo di gabinetto tra gli imputati chiamati a rispondere di falso ideologico. Il concorso truccato per un posto da agente nella polizia locale di Como finirà davanti al giudice.

COMO Tre anni e mezzo di attesa, richieste di archiviazione, imputazioni coatte, impugnazioni davanti alla Cassazione, un'unica inchiesta che s'è fatta uno spezzatino di ben cinque differenti fascicoli, ma alla fine il concorso truccato per un posto da agente nella polizia locale di Como finirà davanti al giudice. Il 20 aprile prossimo il comandante dei vigili urbani di Como, Vincenzo Graziani, il capo di gabinetto del Comune, Tullio Saccenti, sua sorella Alessandra e la funzionaria della Regione Lombardia, Antonella Rosati, dovranno comparire nell'aula delle udienze preliminari per rispondere dell'accusa di falso ideologico. A luglio, invece, sarà la volta di Bruno Polimeni, accusato di violazione del segreto d'ufficio, presentarsi davanti al giudice delle udienze preliminari. Un reato, quello contestato al segretario dell'assessore alla Sicurezza Francesco Scopelliti (finito a processo per false dichiarazioni a pubblico ministero), che sarebbe stato commesso in concorso con Tullio Saccenti la cui posizione è però stata stralciata per una proposta di patteggiamento poi ritirata (ne parliamo nell'articolo qui accanto).
I fatti risalgono al novembre 2007 quando, alla vigilia della prova scritta del concorso per un vigile urbano da assumere alle dipendenze di Palazzo Cernezzi, i segretissimi temi delle tracce della prova stessa vengono diffusi ad alcuni concorrenti, ovvero gli iscritti a un corso di preparazione organizzato da una delle sigle sindacali del corpo di polizia locale. Si scopre che a diffondere le tracce è stato Polimeni, il quale le avrebbe sapute da Tullio Saccenti, componente della commissione d'esame.
Oltre al capo di gabinetto di Palazzo Cernezzi gli altri esaminatori erano Graziani, Antonella Rosati e la sorella dello stesso Saccenti, segretaria della commissione: sono tutti finiti nei guai a causa di un errore nella correzione delle prove di esame. Un'interpretazione sbagliata del regolamento ha infatti costretto il comandante dei vigili a rivalutare le prove e a ricorreggere alcune di esse. Gli altri componenti hanno acconsentito che Graziani rimettesse mano sugli elaborati delle prove scritte, firmando successivamente il verbale che attestava la loro presenza fisica alla correzione stessa. Così facendo hanno commesso il reato di falso, per aver «offeso l'interesse collettivo alla veridicità degli atti pubblici nonché la finalità probatoria cui l'atto deve adempiere». Parole scritte nero su bianco da un giudice delle indagini preliminari al quale la procura aveva chiesto di archiviare le accuse per tutti quanti, e che invece ha ordinato l'imputazione coatta perché convinta dell'esistenza del reato. La parola - su questo episodio - ora passa al gup Alessandro Bianchi. Mentre per Polimeni si dovrà attendere luglio. A fatica, ma l'ora della verità sul grande pasticcio, tre anni e mezzo dopo, sembra finalmente avvicinarsi.
Paolo Moretti

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