«Io c'ero, un boato
poi è stata l'apocalisse»

Maurizio Faverio era a New York l'11 settembre 2001. Ecco, nelle sue parole, il ricordo tremendo dell'attacco terroristico

COMO «Un boato, poi una gigantesca nuvola nera di polvere, le urla e il pianto della gente in fuga». Sono le parole pronunciate a caldo, l'11 settembre di dieci anni fa, da Maurizio Faverio. Allora giovanissimo consigliere comunale, oggi assessore in Comune a Como.
Ma quel giorno, Faverio, non lo dimenticherà mai. «Ero in ufficio sulla Nona - racconta oggi - e stavo lavorando. All'improvviso una situazione surreale e solo il contatto con la gente una volta finito di lavorare mi ha dato la dimensione di quello che stava succedendo».
Subito dopo quel boato Faverio, come chiunque fosse a Manhattan quella mattina, si è affacciato alla finestra. «Si vedevano le torri bruciare - dice - e la città è piombata in una situazione irreale. Sono rimasto bloccato da martedì a sabato in attesa della riapertura degli spazi aerei e in giro non c'era più nessuno. La vita era paralizzata, si viveva giorno per giorno e ci sono stati anche problemi di approvvigionamento arrivare a Ground Zero era impossibile, si sentiva odore di gomma bruciata. Lo stesso che c'era ancora alcuni mesi dopo, quando sono tornato a New York».
Dieci anni sono passati dal doppio attacco alle Twin Towers, ma per chi l'ha vissuto da vicino, ne sono passati molti di più. «Sembra un secolo fa - commenta - davvero da allora è cambiato il mondo. Niente è stato più uguale a prima. Una svolta storica, purtroppo».
Negli anni successivi il giovane comasco è tornato diverse volte a New York City: «Sì, ci sono tornato altre volte. Le prime era un po' così a livello di sensazioni. Saranno tre anni che non vado, ma nel frattempo è stato riavviato tutto».
Quando torna a Downtown Manhattan, dove c'erano le due torri, non può non pensare a quella mattina. E quando vede quel vuoto lasciato in mezzo ai grattacieli non può non pensare alle volte che ci è salito o che, semplicemente, le guardava dalla finestra del suo ufficio. Così rassicuranti. Fino a quella maledetta mattina di dieci anni fa. «Che sembrano un secolo».
Gisella Roncoroni

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