Comasco a Guantanamo
In città lo 007 da Londra

Amici, ex compagni di appartamento, datori di lavoro, abitudini, stile di vita. Tutto quello che può servire per ricostruire chi era Sherif El Meshad, oggi 32enne, partito nel 2001 dalla sua casa di via Turati per un viaggio in Afghanistan e imprigionato nel carcere di Guantanamo. È questo quello che sta cercando di fare in queste ore un investigatore inglese dell’associazione Reprieve

COMO Amici, ex compagni di appartamento, datori di lavoro, abitudini, stile di vita. Insomma, tutto quello che può servire per ricostruire chi era Sherif El Meshad, oggi 32enne, partito nel 2001 dalla sua casa di via Turati per un viaggio in Afghanistan e imprigionato nel carcere più contestato al mondo, quello sulla punta cubana (ma in territorio americano) di Guantanamo.
È questo quello che sta cercando di fare in queste ore un investigatore inglese dell’associazione Reprieve, che si occupa di offrire assistenza legale ai condannati a morte e che sta seguendo i casi di 33 detenuti a Guantanamo, tra cui proprio quello dell’ex imbianchino residente a Camerlata. Chris Chang, che lavora nell’ufficio di Londra, è infatti a Como per raccogliere documenti e prove su Sherif con l’obiettivo di dimostrare che, fino a otto anni fa, aveva una vita regolare e che nulla aveva a che vedere con il terrorismo. Prove che serviranno per chiederne la scarcerazione e il rilascio. «Il 14 settembre - spiega Chang - ci sarà a Guantanamo un’audizione per stabilire che Sherif non è un "nemico combattente" e il nostro staff legale sottoporrà la documentazione che stiamo raccogliendo e che verrà analizzata dagli avvocati e dai giudici. Sono fiducioso e adesso è più facile che venga liberato. Siamo arrivati a seguire il suo caso più tardi rispetto agli altri, ma l’audizione potrebbe essere una svolta per il destino e per la sua scarcerazione». Gli avvocati dell’associazione hanno incontrato quattro volte Sherif (nella foto tonda scattata recentemente nel supercarcere) nell’ultimo anno. L’ultima un mese fa quando lui ha fornito elementi utili per raccogliere materiale in grado di provare le sue spiegazioni al Governo americano. «È difficile - spiega ancora l’investigatore - avere la loro fiducia perché dopo la situazione che hanno vissuto e che stanno vivendo a Guantanamo, i detenuti sono diffidenti. Gli avvocati sono cittadini americani e c’è sempre il dubbio, per un detenuto, se sono lì per aiutarlo oppure se sono in realtà militari. Non è facile».
Tassello dopo tassello l’investigatore inglese sta trovando i riscontri alle dichiarazioni rilasciate ai militari da Sherif: dal codice fiscale alla partita Iva dell’impresa che aveva aperto. Una ricostruzione dettagliata che passa anche da un incidente in scooter che aveva avuto a Como Sherif prima di partire a una visita pneumologica che aveva effettuato nel maggio del 2001. «Avrebbe dovuto ritirare l’esito dopo l’estate - racconta Chang - ma non mai potuto farlo perché in Afghanistan è sparito nel nulla. Era partito per quel Paese con regolare visto, come farebbe qualsiasi turista. Ma l’attentato alle Torri Gemelle ha cambiato tutto: ha avuto la sfortuna di trovarsi in Afghanistan quando è scoppiata la guerra al terrorismo ed è stato trasferito a Guantanamo». Nel carcere americano che il presidente Barack Obama chiuderà non potevano accedere avvocati fino al 2004 e l’ex imbianchino per anni non ha potuto parlare con nessuno. Finché la Croce Rossa internazionale non ha identificato i prigionieri nemmeno la sua famiglia sapeva che fine aveva fatto il ragazzo partito nel 1997, a 21 anni, dall’Egitto con destinazione Como, dove viveva già da tempo lo zio. «Il nostro obiettivo - conclude Chang - è quello di liberarlo. Ora non ha alcuna importanza, e non ne abbiamo nemmeno parlato con lui, se tornerà in Italia o in Egitto. L’importante è che venga rilasciato perché non è un terrorista. Era un gran lavoratore e nessuna delle accuse nei suoi confronti ha trovato riscontro».
Gisella Roncoroni

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