Il pm: omicidio premeditato
E oggi Panarisi dal giudice

Convalida del fermo nei confronti del 52enne ritenuto esecutore materiale dell’omicidio che lo scorso 9 ottobre costò la vita al piccolo imprenditore Antonio Di Giacomo

COMO «Le caratteristiche dei reati commessi, anche in relazione all’abilità e all’efferatezza dimostrata, denotano una spiccata pericolosità sociale del Panarisi Leonardo, certamente tale da rendere assai probabile la reiterazione di analoghi comportamenti delittuosi».
Lo scrive il pubblico ministero della Procura di Como Antonio Nalesso nella richiesta di convalida del fermo nei confronti del 52enne ritenuto esecutore materiale dell’omicidio che lo scorso 9 ottobre costò la vita al piccolo imprenditore Antonio Di Giacomo. Dagli atti della Procura filtra il profilo di Panarisi, uno - a detta di Emanuel Capellato - «abituato a girare con i guanti di lattice», storico frequentatore delle patrie galere, condannato una dozzina di volte e capace, per restare ancorati alla definizione del pm, di «operare in modo occulto e attraverso l’esercizio di un potere di sudditanza verso terzi, come nei confronti di Capellato». Assistito dall’avvocato Pierpaolo Livio, Leonardo Panarisi incontrerà questa mattina alle 9.30 il giudice che dovrà decidere sulla convalida del fermo. Lui si difende sostenendo di essere arrivato nella casa di via Cinque Giornate solo a cose fatte, cioè a cadavere "sparato", e di essersi limitato ad aiutare Emanuel, «il ragazzo» (Panarisi, vecchio amico di suo padre Nilo, lo aveva praticamente visto crescere) a ripulire e a far sparire il cadavere. Le fonti di prova a disposizione della Procura lo collocano in una posizione comunque imbarazzante.
Dall’esame dei tabulati telefonici e dall’incrocio delle testimonianze emerge che Capellato rimane con Di Giacomo fino all’ora dell’omicidio. I due pranzano insieme in via Carloni restandovi fino alle 13.30 circa, poi Emanuel sostiene di avere bevuto con Di Giacomo un caffé al bar Breva, circostanza smentita dalla telecamera del negozio Swaroski lì accanto, che non inquadra mai né l’uno né l’altro. Falso anche il resoconto della spesa: fino a prima della "confessione" Capellato sosteneva di essere effettivamente stato all’Obi di Montano con Panarisi ma di avervi acquistato soltanto due tappetini mentre l’amico comperava un piccolo contenitore porta attrezzi. Alla mobile è bastato leggere lo scontrino per verificare che, oltre ai tappeti, i due avevano comperato ben altro, e cioè il noto armadio, un flacone di detergente (ritrovato nel monolocale di via Cinque Giornate) e un telo antipioggia identico a quello usato per occultare il cadavere. Non bastasse lo scontrino, ci sono le videocamere di sorveglianza esterne che inquadrano la Panda grigia di Panarisi e le figure di due uomini, uno alto e uno un po’ più basso, che li ricordano molto da vicino. Ancora: alle 20.21 del 9 ottobre il vigile elettronico inquadra il furgone che entra in centro storico, dal quale uscirà, alle 21.34, inquadrato dalle telecamere della banca ai Portici Plinio. Nell’ora che intercorre tra l’ingresso e l’uscita, i due, stante alle accuse della procura, trasportano il cadavere giù dal terzo piano nell’armadio servendosi dell’ascensore (sporco di sangue). Poco più tardi il cellulare di Capellato ricompare dalle parti di Tavernerio, dove sarà abbandonato il furgone. Lui chiama il radiotaxi e se ne va.
Per Panarisi è anche "imbarazzante" il possesso di un rotolo di pellicola trasparente largo circa 50 centimetri  ritrovato nella sua abitazione di Tavernerio. Il pm Nalesso lo ha affidato a un consulente tecnico che ha confermato il sospetto: la composizione chimica è la stessa della plastica in cui era avvolto il corpo di Di Giacomo. Accuse da ergastolo: detenzione d’arma da fuoco, occultamento di cadavere, omicidio volontario premeditato.
Stefano Ferrari
Paolo Moretti

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