La sfida di Como
Aprirsi al nuovo

Basta dare un’occhiata al numero e alla vastità delle aree produttive abbandonate, per capire quanto Como sia una città in fase di profonda trasformazione. Siamo stati, e in gran parte lo siamo ancora, la città della seta. In futuro avremo però un’identità più complessa in cui la cultura e il turismo avranno una parte più importante del passato. Si tratta di una strada segnata e condivisa dalla totalità degli attori istituzionali che, uniti (circostanza non scontata fino a qualche tempo fa), hanno deciso di promuovere la candidatura di Como a capitale italiana della cultura.
Da sé l’eventuale riuscita del progetto non cambierà le cose. Ma si tratta di una partita in ogni caso importante che, già solo per il ritorno di immagine, aiuterà il territorio crescere ancora di più in un ambito dove pure si sono già fatti molti passi avanti negli ultimi anni.

Pensiamo solo a Villa Olmo, giusto per citare un caso: oggi sollecitiamo il Comune a fare alla svelta con i lavori di trasformazione ed è motivo di polemica se alle mostre ci sono meno visitatori del previsto. Tutto giusto, ma sino a qualche anno fa, la tradizione dell’arte non c’era proprio e il più prezioso monumento cittadino veniva, al più, utilizzato per qualche convegno. Insomma, c’è ancora moltissimo da fare ma è utile considerare il bicchiere mezzo pieno e valutare con fiducia ciò che in positivo è stato fatto.

Siamo del resto di fronte a una trasformazione che interessa vari aspetti della città. Quello economico ma anche quello culturale e urbanistico. Si tratta di fare, in piccolo, ciò che Torino ha fatto nell’arco di vent’anni. Trasformandosi dalla città delle tute blu in una delle metropoli post industriali più moderne e affascinanti d’Italia sede recente di grandi eventi di richiamo internazionale. Una metropoli in cui tra l’altro è sensibilmente migliorata la qualità di vita con l’abbattimento dell’inquinamento atmosferico.

Noi ce la faremo? L’idea di Como capitale della cultura è coerente con la scelta di ampliare la zona a traffico limitato del centro e con l’idea – chissà se mai diventerà un vero e proprio progetto – di chiudere il lungolago al traffico. Certo, questo genere di iniziative sottolineano anche le carenze e i ritardi che abbiamo sulle spalle e che pesano come macigni. Carenze innanzi tutto dal punto di vista infrastrutturale: mancano grandi aree di sosta anche in centro e soprattutto servirebbe un collegamento rapido dalla periferia al lago per limitare l’invasione delle auto in convalle. E ritardi, sì ritardi, complice la crisi del mercato negli ultimi anni, nella trasformazione delle aree industriali dismesse, a cominciare dalla Ticosa su cui il Comune ha una diretta responsabilità.

E poi la testa, cioè la cultura, quel che è più difficile cambiare. Va aumentata la cura per la città. È piuttosto evidente quanto poco sia congruente candidarsi a capitale del turismo quando, alla vigilia di Expo, tra Comune e Provincia non si sia riusciti a risolvere il caso della pulizia del lago. Su queste partite, considerate nel passato tutto sommato marginali, non si può più sbagliare.

Servirà del resto, ma su questo tutti i comaschi dovranno mettersi in discussione, maggiore apertura alle novità, più concreta disponibilità a riconsiderare le tradizioni. Diversamente tra vent’anni staremo ancora a dibattere sull’orario migliore per spegnere la musica nei locali o sul bon ton dei mercatini nelle piazze.

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