L’ipocrisia sull’altare
della messa di Natale

Nel meraviglioso incipit dell’assolutamente meraviglioso “Don Camillo”, Giovannino Guareschi racconta che durante una messa il burbero parroco aveva iniziato una predica tutta a modino, ma una volta scorto in prima fila uno degli scostumati di un sudicio pasticcio nel quale erano immischiati vecchi possidenti e ragazzine, gli erano scappati i cavalli: “Aveva gettato un drappo sulla testa di Gesù crocifisso, perché non sentisse, e piantandosi i pugni sui fianchi aveva finito il discorso a modo suo, e tanto era tonante la voce che usciva dalla bocca di quell’omaccione, e tanto grosse le diceva, che il soffitto della chiesetta tremava”.

Ora, sarebbe davvero magnifico poter chiedere oggi a quel grande cattolico che è stato Guareschi un commento su questo improvviso, strabiliante e commovente impeto religioso che sta pervadendo la nazione tutta, il popolo tutto e, in particolar modo, la nostra autorevolissima classe dirigente di statisti, dei quali conoscevamo già la cultura profonda e anticonformista, l’eloquio forbito però anche sincero e la capacità di visione strategica, ma della quale, sciocchi noi, ignoravamo del tutto l’afflato cristiano e la profondissima fede nelle verità rivelate delle Scritture e nelle sacre tradizioni della Chiesa cattolica apostolica romana.

È bello essere guidati da uomini di tale spessore. Ed è ancor più bello vedere questo appello a reti unificate affinché nessuno osi toccare il Natale, nessuno si permetta di sospendere o anticipare la Messa di Natale, nessuno neanche immagini di togliere a noi adulti, a noi giovani, a noi nonnetti, a noi bambini, a noi puerpere e gestanti, la magia di questo rito imprescindibile nel quale tutta la comunità condivide un’esperienza di fede e di empatia che la rende così unita, coesa e solidale. E questo detto senza alcuna ironia - sia chiaro - perché per chi crede, per chi crede davvero, ma anche per chi non crede, ma ha l’intelligenza sufficiente per capire quanto il tema del mistero sia centrale nella vita di tutti gli esseri umani, in qualsiasi latitudine, in qualsiasi fascia sociale e in qualsiasi epoca storica, quello del Natale è uno dei temi dirimenti sul quale vale la pena di operare un’analisi seria e approfondita. Nessuno come un laico, credete, coglie la sacralità di quella data.

L’aspetto spassoso della vicenda, però, è che l’appello alla difesa del giorno della nascita di Gesù dalle grinfie di questo governo occhiuto di atei, laicisti, senza Dio e persecutori del Cristianesimo peggio di Erode e Nerone, arriva da certi personaggetti, da certi figuri, da certi sarchiaponi che non sanno neanche dove stia di casa la fede cattolica e la pratica religiosa e che, proprio come nel primo capitolo del più bel romanzo popolare della nostra letteratura, sentendoli trombonare su Gesù bambino, sui cherubini e sui serafini con una dose micidiale di ipocrisia e cialtronismo ti fanno davvero prudere le mani, che se ci fosse qui don Camillo in carne e ossa finirebbe a ceffoni, manrovesci e pedate nel sedere.

In fondo, è la stessa identica cosa che era successa nelle settimane del lockdown di primavera. Visto che una delle pochissime categorie che avevano il permesso di uscire dalla clausura erano i runner, come per incanto si era assistito a una moltiplicazione, degna di quella dei pani e dei pesci, di appassionati di jogging, di corsa in montagna, di triathlon, di maratona e pure di mezza maratona. In quei giorni, chi pratica questo sport ormai da quasi trent’anni - come chi scrive questo pezzo - e che è abituato a incontrare sui vari percorsi sempre le solite facce - ormai ci si conosce tutti - ha visto spuntare da ogni angolo e sentiero e cespuglio soggetti assolutamente improbabili folgorati sulla via di Damasco e convertiti alla fede dei quattro minuti al chilometro: cicciobombi con la mimetica del nonno alpino nella Grande Guerra, impiegati del Catasto con i mocassini e la tuta alla zuava, casalinghe di Voghera con le scarpe da basket del figlio taglia quarantaquattro, tabagisti impenitenti snarigianti e scatarranti dopo uno scatto di ben dodici metri, insomma, tutta un’umanità fantozziana che s’era inventata la più ridicola delle scuse pur di prendersi un’ora d’aria dalla dittatura del “restate a casa” (slogan su quale un giorno andrà fatta una lunga riflessione…).

E ora, lo stesso. Pur di mettere i bastoni tra le ruote del governo - e tra l’altro non ce n’è manco bisogno, visto che se li mette benissimo da solo - e tentare affannosamente di darsi una linea antagonista, ergendosi a paladini della fede cattolica e delle radici più vere e più sane dell’Italia proletaria e autarchica conto l’invasione del culturame consumista, laicista, ateista e bla bla bla, ormai da giorni il vessillo del Bambin Gesù, del Presepe e dei Re Magi viene portato a spasso su tutti i giornali, tutte le televisioni, tutte le radio e, ovviamente, tutti i social da soggetti degni di un film di Fellini: doppi e tripli divorziati con figli legittimi e illegittimi disseminati in ogni dove, celebri puttanieri con il conto aperto nei peggio night club di Lugano, noti cocainomani e biscazzieri già attenzionati presso il reparto catturandi della Polizia, bigami seriali con due, tre o anche quattro famiglie, fanfaroni in servizio permanente effettivo abilissimi nel comizio da osteria ma che non hanno ancora capito se il segno della croce si fa con la mano destra o quella sinistra e, per concludere in gloria con questo sgrondo di beatitudini, assidui frequentatori delle fiaschetterie del paese, ai quali un giro di bianchi appare molto più catartico della messa delle undici.

Siamo tutti peccatori, e ci mancherebbe altro, nessuno ha il diritto di scagliare la prima pietra, e figurarsi, ma un minimo di credibilità quando si occupano ruoli pubblici e un minimo senso della decenza eviterebbe di far straparlare di cose che non si conoscono e, soprattutto, di coprirsi come al solito di ridicolo. I bambini ci guardano, anche a Natale.

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