“L’Ordine” e il senso
profondo del Natale

Ci si può lamentare del consumismo che corrode ogni anno di più lo spirito del Natale, oppure si può fare qualcosa di concreto per riscoprire e vivere il senso più profondo di questa festa. Con il numero speciale de “L’Ordine” di 16 pagine, che troverete in edicola domani gratuitamente all’interno de “La Provincia”, abbiamo cercato di fare un passo in questa seconda direzione.

Per vivere appieno qualsiasi ricorrenza è importante conoscerne l’origine, i simboli e i valori e poi guardarsi dentro e sentire che cosa fanno risuonare nel nostro animo. Per non rischiare di sprecarla, per non rischiare di non capirla e, soprattutto, per farla diventare un’occasione di crescita e arricchimento dello spirito.

Ci aiutano, in questo cammino, alcune persone non solo di grande competenza, ma anche di un’umanità e una sensibilità fuori dal comune. A partire da monsignor Gianfranco Ravasi, il quale si spinge con acume e cultura immensi fino all’origine, allo stesso tempo spirituale e carnale, di questa festa che, non dimentica di ricordarci, fu fissata convenzionalmente al 25 dicembre, in sovrapposizione con quella pagana dedicata al dio Sole. Il grande biblista ci porta la momento della nascita di Gesù e non ci risparmia neanche le doglie di Maria, che una certa tradizione ha invece negato, perché anche in quel momento di dolore che si trasforma in gioia immensa sta il senso del Natale e, più in generale, della nascita di ogni essere umano. Alla Madre di Dio incinta è dedicata anche la copertina disegnata per noi da Giuliano Collina.

Uno che di cammini se ne intende e di chilometri ne ha macinati a migliaia, tutti a piedi, l’ex direttore dei programmi radiofonici della Rai e ora scrittore a tempo pieno Sergio Valzania, ci porta attraverso le diverse tradizioni cui il Natale e la Pasqua, l’uno non a caso sentito più dai popoli del Nord e l’altra da quelli del Sud, hanno dato origine, per invitarci ad amarle tutte, anche nelle loro contraddizioni, perché tutte sono celebrazioni dell’amore di Dio che non conosce limiti.

Un premio Nobel per la pace (Lorenzo Ciccarese, parte del team di ricercatori premiati nel 2007 per l’impegno relativo ai cambiamenti climatici) e un’antropologa di fama mondiale (la francese Martyne Perrot) ci raccontano la storia, anch’essa non priva di contraddizioni e di non sempre facili travasi dai culti pagani a quelli cristiani, dell’albero di Natale e dell’usanza di scambiarsi regali.

Questo Natale è anche l’ultimo in cui ricorre il centenario della Grande Guerra e un pensiero ai Natali in cui c’era molto poco da festeggiare ci è parso doveroso, perché anche questa ricorrenza ha bisogno di essere meditata e calata nelle nostre vite, se no rischia di passare invano e, cosa ben peggiore, di rendere davvero vana, oltre che inutile (come la definì Benedetto XV) la morte di sei milioni di uomini. Lo facciamo in modo decisamente originale: dei Natali di guerra avevamo cominciato a scrivere nel 2014, centenario della famosa “tregua di Natale” tra tedeschi e britannici, avevamo proseguito lo scorso anno, riflettendo sulla poesia “Natale” scritta da Ungaretti nel 1916 e un altro bell’intervento, di Sergio Marzorati, lo troverete, sempre domani, sulle pagine culturali de “La Provincia”. Questa volta su “L’Ordine” ci spingiamo oltre: Massimo Bubola ha scritto per noi un nuovo capitolo di uno dei migliori romanzi di questo 2017 (il suo “Ballata senza nome” edito da Frassinelli), immaginando il solitario Natale del 1921 di Maria Bergamas, la donna scelta a ottobre di quello stesso anno per rappresentare tutte le madri di soldati mai tornati dalla guerra (nemmeno da morti) e indicare tra 11 salme anonime quella del milite ignoto da inumare e venerare a Roma. Su “L’Ordine” di domani la ritroverete in compagnia dei “fantasmi” dei dieci non prescelti, che ora riposano con lei ad Aquileia. Giordano Bruno Guerri, storico, scrittore e presidente del Vittoriale dannunziano, rivisita invece il Natale di sangue del 1920, quando si manifestò l’ultimo (fino alla Seconda guerra mondiale) nodo irrisolto della Grande Guerra, ovvero la repressione del Regio esercito italiano contro i legionari di D’Annunzio che a Fiume aveva istituito la Repubblica del Carnaro («che non fu un’anticipazione del fascismo, ma semmai del ’68», sottolinea Guerri).

Ai nostri luoghi, il lago di Como, la Valtellina e la Valchiavenna, e al giorno d’oggi, ci riporta uno dei migliori scrittori degli ultimi anni, Stefano Valenti, raccontandoci i retroscena di una storia amara, ma a suo modo anche terribilmente bella e dolce, come quella del clochard Paolino morto in una fredda notte dello scorso anno a Milano, prima di Natale, dopo aver lasciato la comunità tiranese Il Gabbiano. Non fece questa scelta per non essere aiutato, ma semmai per aiutare qualcuno ancor più sfortunato di lui: scopritelo leggendo “L’Ordine”. Valenti, e pure Ravasi, ci ricordano che il Natale è anche la festa dei poveri, ché tale era la famiglia di Gesù quando Lui nacque. «E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia - scrisse non a caso l’inventore del presepe, San Francesco, al Capo IV della sua “Regola” -. Ne devono vergognarsi, perché il Signore si e fatto povero per noi in questo mondo». Buon Natale.

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