Meno oneri in azienda
Così si salva il Paese

Un mercato infartuato. L’istantanea che il giurista Piero Ichino offre dell’attuale situazione economica e soprattutto occupazionale - l’intervista la trovate a pagina 15 - non regala grandi margini all’ottimismo. E, dopotutto, neppure le cronache di questi giorni dalle aziende comasche lo stanno facendo. Abbiamo negli occhi i visi smarriti dei lavoratori della Sisme di Olgiate destinatari delle lettere di licenziamento. E nelle orecchie riecheggiano le storie di intere famiglie lasciate a casa senza più uno stipendio e con un futuro nebbioso fuori dalle finestre affacciate sul domani. Una fotografia a cui - è notizia di ieri - si aggiungono le sorti dei 68 dipendenti della Almax di Mariano Comense messi in mobilità e dei 15 lavoratori della Nuova Crae di Cucciago, che non hanno più un’azienda dove andare.

Il professor Ichino lo dice senza giri di parole: o si interviene, ma subito, oppure...

Ma come intervenire? Il giurista, ieri a Como ospite dell’associazione giustizia e democrazia, ha suggerito due strade. La prima: ripensare le regole che governano il mercato del lavoro. Il mondo dell’impresa da anni spinge per una cosiddetta maggiore flessibilità, che però rischia di tramutarsi - in quelle realtà produttive più affezionate ai numeri che alle persone - in scorciatoie che finirebbero per esiliare una fetta importante dei lavoratori in una periferia popolata da disoccupati cronici. Piero Ichino, dal canto suo, ha offerto la sua ricetta per scongiurare questa possibilità: un aumento delle garanzie a chi da più anni è nel mondo produttivo.

La seconda: intervenire sui costi del lavoro. Un tema su cui sembrano tutti magicamente concordi, peccato che poi non accada mai nulla di concreto. La politica sembra preferire un continuo e sempre più alto esborso per gli ammortizzatori sociali - senza contare le ricadute che la perdita di posti di lavoro comporta per lo stesso bilancio dello Stato, in termini di tasse non incassate - piuttosto che rivedere seriamente al ribasso i costi del lavoro. Un provvedimento che sarebbe un incentivo a nuove assunzioni per le realtà in ripresa e che, quindi, potrebbe almeno parzialmente controbilanciare l’emorragia occupazionale dovuta alla crisi.

Anche perché con le condizioni attuali un territorio come quello comasco non è assolutamente in grado di assorbire i quasi trecento licenziamenti registrati dall’inizio dell’anno. E che si vanno ad aggiungere ad altre centinaia di ex dipendenti in cassa integrazione o in mobilità. Uomini e donne che, oltre a dover affrontare un futuro di difficoltà economiche, sono pure alle prese con conseguenze psicologiche potenzialmente devastanti. La perdita di lavoro uccide l’autostima, aumenta lo stress, favorisce la depressione. La nostra natura di essere umani dotati di un cuore dovrebbe bastare a far capire quanto dannoso sia l’attuale immobilismo, ma anche agli organi cardiaci più aridi non sfuggirà che generazioni di nuovi depressi rischiano di trasformarsi in un costo sociale sufficiente da affossare un Paese intero.

Sicuramente Ichino ha ragione: bisogna cambiare in fretta. Forse anche intervenendo su alcune garanzie che rendono rigido il mercato del lavoro. Ma senza perdere di vista quella che sembra essere una delle cause che influisce sulla lunghezza di questa crisi: la concentrazione di ricchezze sproporzionate in capo a una risicata minoranza, pronta a gettare a mare chi ha collaborato al suo arricchimento al primo refolo di vento contrario,

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