Perché è sbagliata
la versione di Barni

Dice che, una settimana fa, i ladri gli sono entrati in casa mentre la famiglia guardava la televisione. Dice anche che, se ci riprovano, «sparerà a vista». E aggiunge: «Ho il diritto di difendermi». Dice poi che «chi non ha vissuto in prima persona un’intrusione come quella di cui è stata vittima la mia famiglia non riesce a capire i sentimenti che ti possono passare per la testa» e conclude invitando i dubbiosi a «non fare le anime belle».

Peccato che ormai ben pochi di noi sono fortunati al punto da non aver mai subito, nella vita, un’intrusione ladresca e peccato anche che di “anime belle”, guardiamoci in giro, non ce ne sono proprio più. Peccato soprattutto che, a parlare così e a promettere di sparare così, sia un sindaco, il sindaco di Barni. Secondo la sua versione - che chiameremo senz’altro la versione di Barni - non c’è da fare i filosofi: quando il pericolo si avvicina alla famiglia tutto, o quasi, diventa lecito. Al massimo, si usa la cortesia del preavviso: sul cancello di casa ha infatti appeso un cartello con la scritta “Qui si spara”.

Facile immaginare quanti consensi otterranno le parole, dette e scritte, dal sindaco. Lui parla alle persone violate, minacciate e spaventate dai ladri, quelle giustamente indignate per l’oltraggio alla loro proprietà, preoccupate per l’incolumità dei loro cari e che, purtroppo, non avvertono nelle istituzioni alcuna capacità di offrire adeguata protezione.

La legge invece – quella che vieta di aprire il fuoco contro i ladri – non considera queste persone: si rivolge ai cittadini allo stato neutro, non indignato, ovvero fa appello alle singole unità che compongono l’insieme sociale, parla alla loro parte raziocinante e li invita, in alternativa alle pistole, a coltivare il senso civico, confidare nella giustizia e collaborare con le forze dell’ordine. Argomenti che, davanti alla paura, fanno ben poca presa e noi, in quanto gente comune, possiamo respingerli, pensare che rappresentino una ricetta buona in teoria ma fallace in pratica. Possiamo, perché, come detto, siamo cittadini comuni. Il sindaco non può perché è il sindaco.

Anche se da qualche anno a questa parte tendono a dimenticarsene – trasformandosi di volta in volta in sceriffi, principi feudali, legislatori di quartiere e dittatori dei quattro cantoni – i sindaci appartengono precisamente a quell’ordinamento istituzionale che, tra le altre cose, oggi come oggi proibisce di sparare ai ladri. Allo stesso ordinamento appartiene quel consigliere regionale che - in una pagina Facebook - clicca “mi piace” laddove si auspica l’uso delle armi contro i topi d’appartamento. E non vale invocare l’”opinione personale” in contrapposizione a quella istituzionale, e altrettanto inaccettabile è sostenere che i social network sono un recinto nel quale, a esprimersi, è il “cittadino” e non il “sindaco” o il “consigliere”. Non è così: pubblicata su Facebook o altrimenti sbandierata ai quattro venti, l’opinione di un sindaco resta l’opinione di un sindaco e quella di un consigliere quella di un consigliere. Entrambi, sindaco e consigliere, non sono enti autonomi, sovrani e indipendenti: al contrario, appartengono a un organismo istituzionale più ampio nel quale tutti, dal presidente della Repubblica in giù, fanno riferimento alle leggi e in cui le leggi servono da garanzia per tutti. Invece, aderendo al tipico tratto della politica contemporanea, sindaci e consiglieri si rivolgono alla “pancia” del vicinato, accarezzano le sue paure, coccolano le indignazioni e, nel caso specifico, giustificano le sparatorie travalicando i limiti che, a un superiore livello, vengono tracciati dalla legge. Per questo la versione di Barni non convince. Se la legge che impedisce di sparare a quei fetenti dei ladri non piace, si provi a cambiarla. Altrimenti, da sindaco soprattutto, bisogna rispettarla. E basta.

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