«La nostra follia magica e lucida». Così si salvò Cantù

Basket Quattro anni fa nacque l’associazione Tic azionariato popolare che iniziò una storia unica. Passeri: «Abbiamo aperto la strada a un modello»

«Fu un momento di lucida follia». Già, probabilmente non ci sono molti altri modi per definire quello che accadde il 18 febbraio 2019 - quattro anni fa domani - 18 febbraio 2019. È una data che ormai è storica, l’inizio di una nuova storia. È il giorno in cui Cantù passò dal baratro di una cancellazione dai radar del basket, alla rinascita.

Firma

Quel giorno, nello studio del notaio Gianfranco Manfredi di Cantù, fu firmata l’acquisizione della Pallacanestro Cantù da parte di Tic - Tutti Insieme Cantù, l’azionariato popolare del club canturino. Un atto di coraggio, che condusse al salvataggio di una società con oltre ottant’anni di storia. Certo, la rinascita sportiva deve ancora completarsi. Ma il giocattolo fu salvato dopo l’uscita di scena del patron Dmitry Gerasimenko giusto un paio di mesi prima.

Perché lucida follia? Lo spiega Angelo Passeri, presidente di Tic e vicepresidente di Pallacanestro Cantù: «Fu una follia, perché le incognite erano enormi e sapevamo perfettamente che sarebbero serviti sforzi fuori dal comune per uscirne. Ma fu lucida, perché intervenne in soccorso l’imprenditoria canturina e parlo di Davide Marson, Sergio Paparelli, Antonio Biella e Antonio Munafò, oltre ai professionisti che ci seguirono in questa operazione complessa».

La storia di Cantù, che sembrava ormai a un passo da una drammatica interruzione, proseguì: «Con il senno di poi, possiamo dire che quella firma ha portato enormi cambiamenti. Abbiamo aperto la strada a un nuovo modello, Cantù è l’unico club professionistico che ha un azionariato popolare nella composizione societaria. Non solo, si è anche insinuato un nuovo modello gestionale. Oggi Cantù è un’azienda con conto economico proprio, che deve provvedere da solo al suo sostentamento, senza dover dipendere dalle lune o dalle possibilità di un unico proprietario. Quella giornata ha aperto anche la strada per un’altra rivoluzione, ossia la costruzione di un’arena di proprietà: uno spiraglio di sopravvivenza è diventato un orizzonte».

Se da un lato Cantù c’è ed esiste ancora, devono però ancora arrivare le soddisfazioni sportive per i dirigenti e i tifosi. In qualche modo, si sapeva che la sopravvivenza finanziaria del club avrebbe avuto ricadute pesanti sul lato sportivo: «Abbiamo fatto due stagioni e mezzo in A, sapendo di giocare col fuoco: a fronte di spese enormi, c’era un budget risicato. E quando è così, si mette anche in conto che ci si possa scottare. E ci siamo scottati con la retrocessione. Ma non è mai stata vissuta come una sconfitta, ma come un male necessario. Non riteniamo la A2 un “inferno”, ma l’obiettivo è onorarla al meglio per tornare al piano di sopra».

Partner

Anche perché la gente e il mondo delle imprese non sono fuggite: «Partner e sponsor sono ancora con noi, così come la gente. La nostra sensazione è che il territorio ci sia stato vicino. Era uno degli obiettivi: ci piaceva una società e una squadra in cui tutti possano contribuire al suo funzionamento: lo sforzo dei singoli è un goccia sempre utile, con l’idea che la nostra sia una passione condivisa».

In tutto questo, Tic con i suoi quasi 300 soci continua a essere un prezioso punto di riferimento, sempre più coinvolto nelle vicende del club. Ora ha uno spazio in sede a Cantù e venerdì 24 ci sarà una cena, proprio in sede, per celebrare l’anniversario del “salvataggio”. Altra iniziativa che sta suscitando entusiasmo è “Tic Club Experience”: un socio estratto a sorte può vivere un’esperienza immersiva il giorno della partita in casa, avendo con i giocatori, con qualche limite ovvio, un contatto diretto.

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