Gentile: «Como da Champions. Io e Corda come cane e gatto»

L’ex capitano azzurro: «Non smetto, a spetto una squadra e intanto alleno i bambini dell’Hf»

Se vedete uno che corre in Viale Geno o a Villa Olmo, fisico da atleta e nastrino per i capelli, è lui. Federico Gentile. Ex capitano del Como nei due ultimi anni di Ninni Corda, con la promozione in C, che si è fermato a vivere nella nostra città. Dopo le esperienze, tutte traumatiche, a Seregno, Foggia e Chiasso, aspetta una squadra perché a 38 anni non ha ancora voglia di smettere e non vuole che a deciderlo sia stato un fallimento societario (del Chiasso). La sua apparizione con la tuta dell’HF (squadra giovanile cittadina che si allena tra il campo del Crocefisso e quello di Albate), ci ha spinto a fargli squillare il telefonino per sapere cosa ci fa lì. E cosa gli riserva il futuro, con uno sguardo sul Como.

Federico, che ci fai all’Hf?

Ho dato una mano. Lì gioca mio figlio Leonardo, ho allenato un po’ i 2013.

Dicono in giro che l’Hf abbia molta grinta.

Bisogna dare un po’ di tempra a questi ragazzi. Ma sono lì anche perché c’è Victor Rodriguez al progetto tecnico, uno che parla la mia stessa lingua: abnegazione, impegno.

Pronto per allenare?

No. È stata una cosa così, per non stare fermo e dare una mano. Ma vorrei giocare ancora un anno. Dopo il fallimento del Chiasso, ho passato brutti momenti. Non mi sento pronto per smettere e comunque non voglio che lo decida qualcun altro per me. In una serie D posso ancora essere utile. Vediamo se c’è spazio.

Avevi già trovato posto alla Caronnese.

Sì, ma dopo il fallimento del Chiasso, non è stato accettato il mio tesseramento perché giocavo in un campionato estero.

Como, Seregno, Foggia, Chiasso, sempre con Corda. Anche lui abita a Como. Siete siamesi.

In realtà siamo come cane e gatto. Due personalità forti, vicine. Ma poi ci intendiamo. Lui conosce il calcio come nessuno. L’unico difetto che ha è che non ha mai lavorato per essere più diplomatico, più inserito nel sistema. C’è gente che ha successo che capisce molto meno di lui.

Esperienze sempre hot.

A Chiasso, che fregatura. Fallimento per fatti precedenti. Pensa che non giochiamo da febbraio eppure in classifica saremmo salvi. Gran lavoro.

A Foggia ti hanno incendiato la porta dell’appartamento...

Sì, ma i tifosi non c’entravano. Qualcuno ce l’aveva com me. Lì siamo stati bene. Ricordo il crepitìo delle fiamme nel pianerottolo, me ne accorsi andando dalla cucina al salotto. Mia moglie si è spaventata molto.

Perché sei rimasto a Como?

Perché aspetto la Champions. Non scherzo. Tifo Como e tifo la città. Che sembra un po’ seduta sugli allori passati, ma sta per sbocciare. Squadra e città assieme verso grandi traguardi. E io voglio esserci.

La tua esperienza a Como?

Dopo la delusione di Carate, Ninni mi disse che lo avrei affiancato nella gestione. E in effetti da lì sono stato non solo giocatore ma anche dirigente in campo.

Non deve essere stato semplice nello spogliatoio. A giudicare da certe tensioni...

Non è stato facile ma io ci metto sempre la faccia. Vi ricordate quando sbagliai due rigori di fila? Beh, la squadra mi volle riconfermare come rigorista, perché sapeva che mazzo mi facevo in settimana.

Il Como di adesso?

Grande società, futuro assicurato.

Dicci qualcosa che non sappiamo.

Che Gabrielloni lo scelsi io. Lo consigliai a Corda perché conoscevo la sua grinta e la sua dedizione. È un guerriero, i compagni lo vorrebbero sempre in campo. E poi c’entro anche io un po’ nell’arrivo di Bellemo, perché fui io a consigliargli di venire a Como, visto quello che stava nascendo. Due regalini azzurri.

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