Baraccopoli alla stazione
E il Comune chiude gli occhi

Anche gli alleati attaccano la maggioranza, che tace - Ferretti (FdI): «Bomba sociale». Magatti (Civitas): «Manca la volontà»

Senzatetto all’ex scalo merci, la politica si interroga e chiede interventi.

Dietro alla stazione di San Giovanni, oltre al parcheggio, c’è una vera baraccopoli con tende e casupole che ospitano una ventina di persone, la notte forse molte di più.

Persone che hanno perso lavoro e famiglia, migranti arrivati dal Pakistan e dal Bangladesh, sbandati e spacciatori.

«Sì, la sera c’è davvero tanta gente - conferma il capogruppo di Fratelli d’Italia Matteo Ferretti – anche se sono situazioni che cambiano in fretta in base agli spostamenti. Alcune baracche però sono ormai stanziali. Noi del resto siamo un territorio di frontiera e molte persone giunte qui non riescono più a valicare il confine e restano bloccate. L’abbiamo già visto. E se un domani l’area dell’ex scalo dovesse venire riqualificata quei senzatetto si sposteranno in altri luoghi della città. La responsabilità da un lato è del governo, bisogna rimpatriare. Però la sicurezza a Como va garantita anche dal Comune, bisogna fare sopralluoghi con la polizia, censire, controllare. E poi c’è il tema del dormitorio mai nato per le altre marginalità presenti in centro. Negli angoli ben visibili, ma anche in quelli assai nascosti».

Ferretti in aula mercoledì sera ha direttamente attaccato l’assessore alla sicurezza Elena Negretti. Ha parlato di una Como che somiglia al «Bronx» e per l’ex scalo merci «di una bomba sociale».

L’assessore non ha replicato. E comunque sul dormitorio l’amministrazione non sembra intenzionata a fare passi avanti. L’ipotesi ex Asl di via Cadorna che appariva concreta sembra chiusa nel cassetto. La palestra di via Perti è tornata ad essere una palestra e il tendone della Caritas non ha ancora un posto.

«La situazione dietro la stazione è nota da anni, ma siccome è meno visibile rispetto a San Francesco è meno invisa – spiega il consigliere del gruppo misto Ada Mantovani –. Il tema dei senza fissa dimora è articolato, di difficile soluzione per la sua complessità, non scompare per magia. Ma sono convinta che se tre attori come l’amministrazione comunale, le istituzioni ecclesiastiche e l’Ats sempre insieme alle associazioni di volontariato lavorassero a un piano sociale potrebbero dare vista a una struttura capace di accogliere e al tempo stesso di monitorare, sotto più profili, il fenomeno».

Secondo Mantovani gli immobili ci sono, le risorse economiche si trovano e le persone di buona volontà non mancano a Como. Ma nulla sembra voler decollare.

Al sindaco è giunta da più pezzi delle minoranza la richiesta di organizzare un tavolo di confronto anche in vista dell’impellente emergenza freddo ormai alle porte. «L’ex scalo merci sarà interessato a breve da un intervento edilizio – ragiona il capogruppo di Civitas Bruno Magatti –. È uno dei tanti luoghi usati come ricovero dagli ultimi e dagli sbandati che potrebbe saltare, spostarsi. La verità è che la città non ha una politica sul tema dopo lo smantellamento del campo di via Regina. Non si è più voluto cercare di intercettare i bisogni dei poveri, porre un argine che significa anche dare un controllo, in termini di sicurezza. Non è buonismo, vuol dire anzi al contrario governare un argomento delicato. Il sistema è abbandonato a se stesso o lasciato come sappiamo nelle mani del volontariato».

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